​L’onda emotiva

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di redazione

Il cortile interno di una casa popolare, uno di quei palazzi dimenticati, senza tutele e senza diritti, come ce ne sono tanti. Pomeriggio caldo e assolato.

Un uomo se ne sta seduto sulla panchina nel cortile e pensa ai fatti suoi. Sul terrazzino del secondo piano alcuni bambini stanno giocando. Fa caldo, è estate. Si sentono le voci dei piccoli, il rumore dei piatti nel lavandino, il ronzio di qualche insetto. I bambini che giocano sul terrazzino non hanno la corrente elettrica in casa. Da quasi un anno pigiano sugli interruttori inutilmente, non c’è nemmeno il gas nella loro casa. I loro genitori fanno del loro meglio per sopravvivere. Sono giovani e i loro bambini troppo piccoli. Ci provano a resistere in una casa senza luce e senza gas. Forse tra qualche tempo staccheranno loro anche l’acqua. Perché sono abusivi. Così dicono. Sono abusivi.

Arrivano dalla Nigeria, sono stati inseriti in un programma di gestione dei flussi migratori. Pensavano di aver raggiunto la tregua. La loro tregua poteva essere una casa, un lavoro, la scuola per i bambini. Un nuovo inizio per tutti, tutto da imparare, tutto da ricominciare.

La speranza li ha fatti mettere in viaggio, la speranza li ha fatti fermare in una cittadina di provincia, la speranza li ha tenuti prigionieri quando il programma è finito e all’improvviso si sono ritrovati senza lavoro, senza certezze, senza risorse. In queste condizioni come si fa a pagare le bollette? Come si fa a vivere?

I bambini intanto giocano, anche se in casa non c’è corrente e non c’è gas. I bambini intanto giocano. Il ragazzo sulla panchina continua a pensare ai fatti suoi. Ci prova almeno. Solo che nel pomeriggio assolato con la coda dell’occhio vede qualcosa volare dal secondo piano. I bambini strillano più forte. Si sentono già le sirene. Arriva l’ambulanza. Il bambino di tre anni è riverso sulle mattonelle del cortile. È grave, molto grave. Lo elitrasportano a Roma, lotta per vivere. Il giorno dopo scatta l’onda emotiva. Tutti sanno tutto della famiglia del piccolo George. Tutti vogliono aiutare. Scattano raccolte fondi, gare di solidarietà. A casa del piccolo George non c’è luce e non c’è gas. Nelle stesse condizioni della famiglia di George ci sono decine di migranti sospesi nel limbo, senza nemmeno la possibilità di potersi adattare, perché il programma di accoglienza è stato carente sugli strumenti di integrazione.

Anche sull’insegnamento della lingua italiana. L’onda emotiva mette sotto i riflettori la tragedia, il dolore. Nell’ombra, dove la luce non arriva, restano i problemi irrisolti e l’emergenza che sta per esplodere. È sempre lì in agguato, aspetta e intanto si nutre di paure, incomprensioni, dolore, rifiuto, abuso. È lì, c’è, è reale come la vita fragile del piccolo George che non ha bisogno solo di preghiere, ha bisogno di vivere, ha bisogno di essere parte di una comunità, ha bisogno di essere riconosciuto in quanto bambino e quindi ha bisogno di un lavoro per i suoi genitori, di andare a scuola e di avere la corrente e il gas in casa. Ha bisogno di crescere e di vivere nella libertà, come tutti gli esseri umani.

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