La strage dimenticata di Castro dei Volsci
di Paola Caramadre e Antonio Nardelli
Il profumo dei crisantemi, le preghiere sussurrate delle donne, i passi lenti degli uomini, le luci di mille lumini. E’ la ricorrenza di Ognissanti anche al cimitero di Castro dei Volsci affollato da tanti emigrati e da tanti paesani. Ognuno vuole portare un saluto sulle tombe dei propri cari, ognuno vuole ricordare, ricordarsi, salutare, parlare.
Il cimitero è un luogo vivo in queste giornate particolari. E’ il primo novembre 1968 nella terra drammaticamente ferita durante la seconda guerra mondiale. I ricordi di quei terribili giorni tra il 1943 e il 1944 sono ancora vivi nel paese, diventato la patria dolorosa della “mamma Ciociara”, il cimitero è ancora un luogo di dolore collettivo, di sgomento per quella tragedia che ha unito la popolazione in uno stesso pianto muto. Ci si muove tra le tombe deponendo fiori, stringendo le mani dei compaesani per non scoppiare in lacrime.
Nessuno potrebbe immaginare che quel primo novembre del 1968 sarebbe diventato il giorno di una tragedia senza nome e senza responsabili.
Il dramma si nasconde nel monumento commemorativo alle vittime civili della guerra ‘decorato’ con i residuati bellici, senza spoletta, ma purtroppo ancora carichi. Ventitré anni dopo, la guerra torna a fare paura. La fiamma di un lumino avrebbe funzionato da detonatore facendo esplodere un proiettile di cannone. Un attimo inghiottito dal boato dell’esplosione, dalla polvere, dal sangue e dalle grida. Il cimitero di Castro dei Volsci si trasforma nel teatro di una strage. Il bilancio è agghiacciante: l’esplosione divora la vita di cinque persone, il numero dei feriti sembra difficile da stabilire inizialmente si parla di una cinquantina, poi quindici. Una tragedia che provoca una nuova ferita nella piccola comunità già provata da troppi lutti.
Gli inquirenti si attivano immediatamente per fare luce sull’accaduto, una folla muta si stringe dietro i cancelli del cimitero in attesa di una risposta, di un perché. Nessuno ha la forza di piangere le vittime. Maria, Anna, Elvira, Santa, Natalizio. I loro nomi risuonano come una nenia, come un pianto senza lacrime. Le loro vite, così diverse, si sono congiunte nello stesso tragico istante schiacciate dalla forza devastante dell’esplosione. Una strage. Una strage che per troppi anni è rimasta avvolta nella nebbia della deflagrazione. Nessun imputato, nessun responsabile diretto, tanto che il caso viene archiviato nel febbraio del 1970. Una fatalità. Ma il dolore dei familiari delle vittime è troppo grande per poter chinare la testa al destino. Per Antonio Penna, che ha perso la madre e la zia nell’esplosione, non può essere stata una tragica fatalità.
Nel 2012, finalmente, riesce a rendere tangibile la memoria delle vittime con un monumento e in quella occasione scopre che la madre si era sacrificata salvando un ragazzo di appena dodici anni che solo 44 anni dopo la tragedia ha potuto dare un nome alla donna che lo ha preservato dall’esplosione. Una memoria resa possibile, come ha sottolineato Antonio Penna, dalla sensibilità del sindaco Lombardi e dal vicesindaco Ambrosi e dall’amministrazione comunale che dopo 44 anni ha dato la giusta considerazione a quella tragedia di vittime civili di guerra cadute in tempo di pace. Vittime che si sono unite in un simbolico abbraccio con i caduti del conflitto, senza distinzione di bandiere. Per chi ha perso i propri familiari, il ricordo di quel primo novembre 1968 è troppo vivo e forte. Continua a raccogliere informazioni, aneddoti, testimonianze, e con insistenza chiede di riaprire il caso e di non dimenticare le vittime. Antonio Penna si fa portavoce di Maria, Anna, Elvira, Santa, Natalizio, per loro chiede giustizia e verità, per loro continua a tramandare il dolore di quel giorno affinché la loro tragedia non venga dimenticata.