Il falò dei racconti
Al calar della sera crescono dubbi e paure. Fa freddo, troppo freddo. Forse è tardi, magari hai sbagliato giorno per organizzare il falò dei racconti, ma oramai ci sei dentro. Non sei solo, sei con quelli di sempre. Siete un variegato manipolo di volenterosi, a detta di alcuni, di nullafacenti secondo altri. E poi c’è il padrone di casa, il prete, colui che se non lo conosci ti mette soggezione. Intanto cominciano ad arrivare uomini, donne e bambini del tuo paese, a cui si unisce qualcuno di fuori che dopo un po’ non è più di fuori. Accendi il falò e inizi con la bruschetta che bruci subito perché sei emozionato. Vorresti fare bella figura ma è sempre così, quando la fai a casa ti viene meglio. Lo stesso succede con le caldarroste. Ma non c’è tempo per le recriminazioni, il fuoco inizia a scaldare il cuore dei presenti. I ciocchi secchi partono immediatamente crepitando tra le fiamme rossastre e sibilanti. Si staccano i primi pezzi di carbone.
Si mangia e si beve, poi ti viene in mente che sono i giorni del ringraziamento i cui simboli, pane, olio e vino, fanno bella mostra di sé sulla tavola imbandita con il bendidio portato dai generosi compaesani.
C’è un mondo antico, antico come il fuoco, da riportare in vita non con la mente ma con il cuore, perché la bellezza di un racconto è andare oltre le parole e i gesti, raggiungere la dimensione in cui regna il sublime, un mondo spirituale che non richiede alcuna prova per dimostrare la sua esistenza, c’è e basta. Ti senti uno sciamano, e gli altri come te.
Attizzi il fuoco e osservi le striature delle fiamme che cambiano colore, come se seguissero anch’esse le emozioni dei racconti che cominciano a fioccare. Non puoi avvicinarti troppo al fuoco altrimenti bruci, non puoi allontanartene troppo perché muori di freddo. Ma raggiungi il punto di equilibrio con gli altri intorno, ed è bello stare insieme. Qualcuno ha pensato di avvolgersi in una coperta e te ne offre un lembo.
Interroghi il fuoco, e mentre la fiamma oscilla affiorano i ricordi che non sono solo tuoi ma di tutto il paese. Sembra che ti parlino gli avi, ti ritrovi bambino, vedi i tuoi genitori, giochi con i tuoi nonni. Gli altri fanno come te, lo vedi dai loro sguardi. Tocca anche al prete interpellare la sua fiamma perché il fuoco ci rende simili. E cosa può raccontare un prete? Una barzelletta? No, lui non può. Tante cose lui non può fare. Non può essere uomo come gli altri, lui deve solo prendere gli schiaffi. Tu fai le domande e il fuoco risponde. Come muore la mamma di un prete? Come le altre mamme. E il papà? Allo stesso modo.
Il falò è per tutti, c’è chi lo racconta, chi preferisce tenerselo per sé. Il fuoco si alimenta del silenzio che lo circonda e le grida festose dei bambini e il dialogo degli adulti sono solo un sussulto. Poi ci sono le barzellette che ti riportano alla realtà, quelle barzellette che fanno ridere anche quando non fanno ridere, perché hai voglia di condividere. Nell’euforia vorresti raccontare anche ciò che non sai, ma aspetti il tuo turno. C’è chi prende coraggio e si avvicina e mentre attizzi nuovamente il fuoco ti senti finalmente contento perché hai contribuito a scaldare il cuore del paese. Non metti più legna, hai voglia di tornare a casa. Hai ancora dei dubbi, ma non sono più dettati dalla paura. Il dubbio più grande è che non sai quanta legna dovrai portare la prossima volta, perché il falò dei racconti crescerà. Sicuro che crescerà.
Ci sono fuochi che una volta partiti bruciano in eterno.