A nonno Vito
di Vera Cavallaro
Mi ricordo di te, del tuo camminare, del tuo portamento elegante anche se incerto con la gamba di legno, tra le risate di un’infanzia spensierata tra gli odori di mosto e di muschio che la tua vigna ci regalava ad ogni autunno ed inverno, tra l’ombra imponente dei ciliegi e l’odore selvatico di gramigna, odori e colori che hanno fissato nella memoria le emozioni dell’attraversar le stagioni con te.
Il tuo incedere lento ma dignitoso ha segnato per sempre la mia infanzia e la mia vita regalandomi un esempio di presenza fiera e orgogliosa. Il tuo sorriso mi ha donato la certezza della tua gioia, la solidità del tuo amore. Ricordo ancora sulla pelle le vibrazioni e nei tuoi occhi l’allegria nel vedermi ballare i ritmi delle tarantelle che tu stesso creavi con cucchiai e vecchie pentole, e mi sembra ancora di sentirli quei ritmi, sincronizzati oramai per sempre con il ritmo del mio cuore.
Sei partito giovane, quando ancora io non stavo nei sogni di nessuno, per seguire il tuo sogno americano… una chimera, un mito, un anelito verso una vita migliore!
Spesso mi chiamavi “My Love” e mi dicevi “I Love You” ed io mi vedevo riflessa nello scintillio dei tuoi occhi, e nella loro luce, occhi che avevano visto e sfiorato emozioni nuove.
Dove sei nonno Vito? Ti ho cercato senza saperlo per più di 40 anni per trovarti casualmente tra le pagine ingiallite dal tempo in un registro (di Ellis Island) che conserva memorie di popoli migranti verso il sogno chiamato America. Ed ho sobbalzato quando è comparso il tuo nome, ho sobbalzato per te, per noi tutti… quando, affamata di tue notizie, ho trovato, scorrendo tra le righe, un segno, una traccia, che qualcuno sapientemente ha fermato, del tuo cammino verso l’America.
Ho sussultato per tutte quelle storie mai scritte e mai raccontate, ma percorse da trame intrecciate da fibre di coraggio, di fatiche e di lacrime. Sì, perché il costo del viaggio erano anche le lacrime, legate ai distacchi, a quei distacchi che a volte lacerano e squarciano dentro i corpi e lasciano segni e rughe sui volti, che spaccano il cuore di chi parte ed anche di chi resta. Immagino chi come te lentamente smarriva nel mare la vista della sua terra, anche per il pianto che gli copriva gli occhi.
E mi sembra di vederli quegli occhi, gli occhi di chi si allontana partendo, lasciando le proprie radici e i propri affetti e di vedere anche gli occhi di chi resta lasciando partire ed andare una parte di sé, spesso nell’incertezza del suo ritorno. E ho provato a sentire il distacco di chi partiva dal proprio orizzonte, su una nave che come una grande culla l’accoglieva insieme ad altre anime smarrite e stupite, cedute al mare dalla madre terra che non poteva più sfamarle. Occhi che diventavano cielo e mare e ne seguivano gli umori cangianti, fondendosi e confondendosi con essi, nell’orizzonte tra terra e mare, tra mare e cielo…in una linea di congiunzione di inizio e fine, realtà e il sogno, paura e speranza, vita e morte!
Ti immagino con il nuovo mondo negli occhi e l’America in gola mentre in viaggio attendevi di vederla rivelarsi all’orizzonte, per poter poi urlare “America, America, America!!!”
Nonno, l’America, è come una carta da gioco che tu hai usato per contrastare e sfidare un destino, quello che segna il percorso di quei poveri che irrimediabilmente si rassegnano alla miseria, per raggiungere e toccare con mano un miracolo tanto atteso, nelle leggende e nelle notizie raccontate da qualcuno.
Perché nonno, non ti ho mai chiesto della tua America, di quell’America che intravedevo nei tuoi occhi e che echeggiava nell’emozione della tua voce quando mi chiamavi con il tuo dolce “My love”?
Perché non ho ascoltato i tuoi racconti? Racconti che non ricordo o che non ci sono mai stati? E se non ci sono mai stati mi chiedo perché ti sei negato la possibilità di aprire a me il tuo cuore alla pagina America? Ma ora che mi accorgo di questo tuo cammino tra terra e oceano, tra isola e continente, tra rassegnazione e sfida, sconforto e speranza, tra lacrime e sorrisi, io ti stringo con tutta l’energia che posso, mia e della mia famiglia, perché se sono qui a scriverti, a volerti raggiungere e a meravigliarmi di te, è solo perché tu ci sei stato e hai creduto in un sogno, e facendolo hai permesso anche a noi tutti di sognare!
Tu hai sfidato il destino dei poveri e hai scommesso sul tuo futuro mettendo in gioco le certezze della tua vita e i tuoi affetti.
E mi chiedo quando sei tornato dall’America cosa portavi con te, il senso della sconfitta o della vittoria? Comunque sono certa che hai lottato per un futuro migliore regalandoci una grande lezione di speranza, di coraggio, oltre che qualche gioia e qualche possibilità in più per il nostro futuro.
Ti ringrazio nonno Vito perché mi hai insegnato che la vita è costruita anche sui sogni, e chi non ne ha, può anche rassegnarsi tristemente a morire.
Il tuo sogno ti ha permesso di affrontare il viaggio, di attraversare l’oceano, di approdare a una terra poco conosciuta e cos’è la vita se non un viaggio verso l’ignoto?
Nonno Vito eri e rimani per me ancora un sogno, un sogno partorito dal desiderio di cambiamento, dalla voglia di riscatto da una fatalità che si prospettava poco attraente.
Tu sei per me diventato una pietra miliare, perché sei entrato per sempre nella mia anima lasciandovi orme di vita, di coraggio e di amore.
Questa lettera la metto in una bottiglia che getto in mare,
quel mare, che è stato testimone e compagno del tuo lungo viaggio verso l’America,
perché sento che solo nella sua immensità posso lanciare
questo urlo d’amore per te
sicura che dovunque tu sia possa ascoltarlo!
TI VOGLIO BENE NONNO VITO
I LOVE YOU
Tua nipote Vera