“Nelle sonore sale del Castello di Re Ladislao”, la Fondazione Mastroianni ad Arpino
Ricordano le pietre d’angolo, ricordano i sassi, ricordano le stradette scoscese in salita. La città ha una sua memoria interiore impressa sui muri e sui frutti degli interventi umani, è un mormorio sedimentato che sembra si possa ancora ascoltare. È impresso sulle stele di marmo che declamano ad alta voce versi che poeti di origini diverse e in lingue diverse hanno donato a questo borgo. Inseguendo le poesie incise sul Libro di pietra, progetto coordinato da Giuseppe Bonaviri, si incontrano i versi di Libero De Libero, Vladimir Mikes, Pedro J. De la Peña, e tanti altri autori da Cina, Scozia, Svezia, si raggiunge il castello Ladislao.
Serpeggia la strada per arrivarci in un centrale e periferico zigzagare soggiogati da un paesaggio di alture, boschi e valli punteggiate dalle eredità degli uomini: dalle mura ciclopiche all’arco a sesto acuto, dalle chiese ai palazzi alla statua di Cicerone.
L’arco a sesto acuto di Arpino
Dal belvedere di Largo Caduti dell’Aria, Sora e i monti d’Abruzzo sono vicini, la Valle di Comino si snoda lungo il versante e l’Acropoli illumina l’immaginazione. Il portale è aperto e la soglia attende di essere varcata. Si segue l’ombra nodosa col volto elegante e i baffi sottili di un artista che ha segnato con le sue sculture il Novecento.
Nella corte di ingresso del castello Ladislao si incontrano i protagonisti della storia di questo luogo, quel re di Napoli che imprime il nome al palazzo, la famiglia Ciccodicola che si arricchisce trasformando la lana e infine Umberto Mastroianni.
È l’artista stesso a promuovere un legame con la terra d’origine e già agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso si raggiunge un accordo con la Provincia di Frosinone affinché ad Arpino e proprio al castello Ladislao possa sorgere una fondazione intitolata all’arte di Mastroianni.
Inizialmente, in attesa che i lavori di recupero dell’antico maniero possano essere conclusi, la Fondazione Umberto Mastroianni viene ospitata a palazzo Boncompagni nel centro di Arpino, poi nel 2012, la sede deputata è conclusa e le opere trovano la propria collocazione. Dopo dieci anni, il percorso di visita è articolato, il chiostro ospita le grandi sculture come “Macchina spaziale”, “Composizione n.2”, “Apparizione fanstastica”.
È qui che, in un armonico contrasto, si percepisce quella tensione culturale di sottrarre alla rassegnazione e al silenzio le rovine dell’umano per rivolgerle in un codice narrativo di brutale grandezza. Nelle sale si accede all’immaginario di Mastroianni, accarezzando con lo sguardo i cartoni preparatori, le stoffe di sperimentazione, dagli inizi del Novecento fino alla piena maturità il visitatore percorre le tappe della formazione e dello sviluppo della scultura di Mastroianni.
L’ultima acquisizione della Fondazione è il busto di Milva, un ritratto intimo e interiore dell’artista raffigurata con i capelli raccolti.
La Fondazione offre anche uno sprazzo sull’arte di Domenico Mastroianni, zio di Umberto, fine ceramista, che nel periodo tra le due guerre inventa le fotosculture. Bisogna vederle per comprendere a pieno la complessità di questa espressione cosi suggestiva.
Oggi la Fondazione Mastroianni vanta una grande sala conferenze e spazi per laboratori didattici e mostre temporanee e garantisce un impegno per rendere fruibile la sede in maniera costante e calendarizzata.
Andando via si ha la sensazione che dalle foto che lo ritraggono sul cantiere di restauro del palazzo, Umberto strizzi l’occhio con la sua sagacia invitando a tornare perché di certo qualcosa della sua arte sarà sfuggito anche al visitatore più attento.
Si ringrazia Andrea Chietini, presidente della Fondazione Umberto Mastroianni, per la premurosa accoglienza.