Ciao Sicilia!
La Playa di Castellammare del Golfo è lo sfondo dei nostri saluti. Siamo pronti a ripartire, ma prima ci concediamo qualche ora di mare, un caffè in uno stabilimento sulla costa con delle bellissime sedie azzurre e bianche, qualche conversazione amichevole.
Il viaggio siciliano prevede ancora qualche tappa. Tappe che non abbiamo programmato, ma che ci vengono incontro grazie ai suggerimenti delle persone che incontriamo.
La nostra ospite ci consiglia di visitare Monreale, ci appassiona solo pronunciandone il nome. Sarà la nostra meta, insieme ad una pasticceria dove dire: “Per favore, mi riempie un cannolo?” e sentirsi rispondere: “Vi ha mandato qualcuno, vero?” e noi annuire con un sorriso che diventa involontariamente ammiccante tra le sedie di moplen e l’aria condizionata.
Ci mettiamo in viaggio, non prima di aver salutato ancora, di aver salutato la nostra amica Graziella e il suo forno delle delizie, di aver preso commiato da Rosa, la nostra ospite, che ci stupisce e ci trasmette un senso di commozione, quando le si inumidiscono gli occhi a sentire pronunciare il nome di Peppino Impastato.
Finisce così che all’ora di pranzo, nella canicola senza appello di luglio, ci ritroviamo a Cinisi per prendere un caffé. In piazza, davanti al Municipio c’è una mostra fotografica dedicata a Santa Fara. I bar sono quasi tutti chiusi, sembra una cittadina disabitata, sembra un set cinematografico. Ci siamo fermati per cercare qualcosa di indefinito, qualcosa che, comunque, non abbiamo trovato, se non quel sottile brivido che si prova quando si arriva tra le gole di una montagna sconosciuta.
Ripartiamo in fretta, senza portarci dietro nulla, confondendo subito il paesaggio, cercando di andare altrove, cercando di tornare alla strada principale. Ci consolano le parole affidate ai muri di Palermo, e solo quelle possono consolarci in questo deserto tra l’immondizia ammassata agli angoli delle strade e i terreni riarsi dal fuoco e dal sole. Sosta davanti la stele in commemorazione della strage di Capaci, di fronte alla quale abbiamo sentimenti discordanti.
Proseguiamo anche se il navigatore vorrebbe costringerci ad andare all’aeroporto Falcone e Borsellino per poi farci tornare indietro. Scegliamo per istinto e andiamo verso Palermo. Salire a Monreale si rivela semplice. Lo spettacolo che ci troviamo di fronte è mozzafiato. Anche perché il duomo di Monreale ci obbliga a misurarci con le nostre paure e le affrontiamo nel migliore dei modi. Saliamo per stretti cuniculi fino ad arrivare alle terrazze che affacciano sul chiostro e poi ci inerpichiamo fino alla sommità della cupola e guardiamo il paesaggio, Palermo si distende ai nostri piedi fino al mare.
Il mare è onnipresente, quel Mediterraneo che impregna gli stili architettonici, i luoghi di culto, il dialetto, il cibo.
Torniamo ad immergerci tra gli ori dei mosaici del duomo. Il Cristo Pantocratore ci guarda dall’abside con il suo sguardo di uomo e ci riporta alla Cappella Palatina. I mosaici che abbelliscono le navate raccontano e testimoniano, esortano e spiegano, parlano un linguaggio universale, sono i disegni della tradizione e dell’icona. Le greche decorative, i capitelli, gli archi sono il punto di incontro tra Oriente e Occidente.
Palermo ci aspetta, ci aspettano altri scorci della città, come il teatro Politeama, ma soprattutto ci aspetta l’imbarco. Al tramonto iniziano le procedure per salpare. Avviati i motori e levata l’ancora, i gabbiani planano sfruttando la scia del traghetto. Si avvicinano ai viaggiatori sul ponte, il loro volo si confonde con alcuni palloncini bianchi lasciati andare in segno di saluto. Si parte. Si va via.
Non andiamo via a mani vuote, ci resta il sapore dell’ospitalità. Ci restano i gesti di gratuità, ci restano i grazie per quello che ci è stato donato, per i cibi che ci sono stati offerti dalle olive, alla caponata, passando per i “mustazzoli”, i dolci alla mandorla, il vino.
Ci resta la voglia di tornare in questa isola che è un continente intero, terra di molti popoli, di molte lingue e di tante culture non tutte positive. Ci resta la nostalgia di una terra dove le storie a lieto fine sono poche, ma quelle poche hanno la forza delle sfide vinte contro ogni pronostico. E poi ci resta la curiosità per quello che non abbiamo visto e per la granita di gelsi che non abbiamo fatto in tempo ad assaggiare.
La nostra breve vacanza in Sicilia è terminata, quando, all’alba, siamo passati vicino l’isola di Capri e abbiamo visto il sole sorgere dietro il Vesuvio. Andiamo a casa, un po’ amareggiati, un po’ frastornati dal viaggio, ma la voglia di tornare è tanta e non vediamo l’ora di preparare i bagagli per rimetterci in cammino.