Archeologia in Sicilia, tappa a Segesta e Alcamo
di Paola Caramadre e Antonio Nardelli
I passi diventano guide involontarie. Seguiamo il cammino, seguiamo il sentiero, seguiamo l’istinto. Il sole cocente rende l’atmosfera velata, nemmeno il ronzio di un insetto. Nessun rumore spezza il torpore dato dal calore.
Una passerella di legno ci conduce in uno spazio delimitato sul Monte Barbaro. Il paesaggio intorno ai nostri sguardi è suggestivo e carico di tensione. Rocce erose dal vento, magnetiche, come fossero animate da mille anime perdute, declivi morbidi e verdeggianti, terreni scoscesi brulli e aridi e poi vasti vigneti.
Siamo a Segesta, la città degli Elimi che, secondo la tradizione, sarebbe stata fondata da esuli troiani. Camminiamo tra le rovine dell’acropoli immaginando la città di ispirazione ellenistica, poi diventata romana, poi araba, poi saracena, poi normanna, poi di nuovo mutata e ancora trasformata fino all’abbandono.
Siamo sull’acropoli della città di mille volti, dove la sala del consiglio di tipo greco fa da contraltare al teatro antico, dove la chiesa occhieggia la moschea.
Siamo qui, sulla montagna dove il tempo si compie, dove i resti del castello di epoca normanna non sono che povere pietre lasciate a scontrarsi con il vento. Il teatro, il teatro di pietra si specchia nella vallata sottostante trascinando l’eco di secoli di rappresentazioni. Il teatro è l’interprete di un frammento della storia millenaria di Segesta qui sull’acropoli.
La prospettiva cambia quando si scorge da lontano il tempio dorico. Il tempio che, forse, non è mai stato ultimato. Edificato e mai finito, incessante ricordo della fragilità della storia, con le immense colonne restituisce il respiro della Magna Grecia. Il sole fa tremare lo sguardo, l’ombra è un miraggio. Tutto è intenso in questo angolo di Sicilia, tutto ha un profumo forte, un sapore frastornante. Immaginiamo per un istante i primi visitatori stranieri venuti fin qui seguendo l’itinerario tracciato da Goethe.
Il nostro percorso prosegue alla ricerca della poesia di Cielo d’Alcamo, il cui nome sarebbe stato Ciullo, rimatore del XIII secolo. Siamo ad Alcamo dove il corso dei Mille e il corso 6 aprile ricordano un sentimento patriottico antelitteram grazie ai fratelli Triolo di Sant’Anna. Camminiamo per strade limpide, aperte, rivestite di basolati imponenti ci indicano i percorsi, come il castello dei Conti di Modica, oggi museo del vino e delle tradizioni e per confonderci con tracce di architettura barocca, romanica, gotica, catalana, araba e normanna.
I tanti giardini pubblici rendono il paesaggio cittadino ancora più affascinante e l’isola pedonale consente di poter camminare liberamente. La sorpresa più interessante è in piazza della Libertà con la chiesa dell’Annunziata della quale non restano che ruderi di una straordinaria luminosità. Il viaggio siciliano è disseminato di storie. In questo caso storie linguistiche, parole che sembrano trasportate da esuli di regione in regione e che meriteranno un racconto più avanti. Intanto proseguiamo il viaggio tra arancine, pomodori secchi e cous cous al pesce.