Vuoto a perdere
di Tamara Barigaldi
A volte le capitava di trovare ancora frammenti di lei in giro per casa. Un fermaglio per capelli, un post-it scritto con la sua calligrafia disordinata e tondeggiante, la carta di quegli atroci cioccolatini alla menta che le piacevano tanto.
“Le persone ci lasciano. Fattene una ragione”.
Se lo ripeteva come un mantra, pregando di riacquistare quello sconforto e quella mancanza di fiducia nel prossimo che solo mesi di faticosa terapia erano riusciti a spazzare via. Sperava di regredire, di tornare indietro sino al punto zero, sino al giorno prima di incontrarla, sino a quei momenti fatti di disillusione e amarezza. Tutto sarebbe stato meglio di quel vuoto doloroso, di quell’assenza atroce e irreversibile.
L’aveva lasciata, Dalila. L’aveva fatto senza preavviso, andandosene in un posto in cui non avrebbe potuto raggiungerla, un posto in cui – a conti fatti – non voleva raggiungerla. Era uscita lasciandole la caffettiera pronta, il pane già tagliato e un post-it che le ricordava quanto fosse amata, speciale, fortunata. Anche a distanza di settimane non riusciva ancora a ricordare cosa fosse successo dopo, chi avesse chiamato per primo, chi fosse corso da lei per aiutarla a processare quel genere di informazioni di fronte alle quali siamo tutti deboli, incapaci, paralizzati, senza nemmeno la forza di urlare.
Era morta in un tiepido giorno di marzo, Dalila. Investita da un autista distratto che non aveva visto il suo corpo minuto attraversare di corsa quello stesso passaggio pedonale che le aveva viste incontrarsi e scontrarsi per la prima volta, che le aveva viste conoscersi, annusarsi, piacersi, innamorarsi. La teoria delle probabilità e delle coincidenze, ancora una volta, aveva giocato sporco.
Stava sistemando la libreria, cercando un diversivo a quell’assenza dilaniante. Fu in quel momento che lo trovò. L’ennesimo post-it, l’ennesimo frammento di un passato dal quale non riusciva a staccarsi anche se le era già stato strappato via a forza. Lo aprì.
“Ele, se stai leggendo questo significa che abbiamo litigato. O che non stai bene. Conosco le tue manie del riordino… Nella remota possibilità io non mi trovi al tuo fianco, voglio che tu legga attentamente quello che sto per scrivere. Voglio che tu lo sappia. Voglio che tu sappia che sei amata follemente e che sei bellissima. Che passo ore a osservarti, a sorridere della fortuna di averti al mio fianco e a esserne grata. Che ti amo, che lo farò sempre e che non ti lascerò mai.”
Le parve di vederla, con un fiore in mano e quel sorriso indulgente che significava “facciamo la pace”. Con quel maglione troppo grande ma in grado scaldarle entrambe quando si abbracciavano. Sfiorò quel pezzo di carta e le parve di sfiorare il corpo un po’ spigoloso di lei.
Sospirò, cercando di inghiottire un singhiozzo prepotente.
Si accartocciò di fianco alla libreria, investita dal peso di quell’amore che adesso non sapeva più dove cercare. Non in Dalila, non in se stessa, forse nemmeno nel mondo.
– Mi manchi -.
Pianse.