Una scuola petalosa
Il preside Luigi Stanca era prossimo alla pensione. Un altro paio di anni ancora e si sarebbe congedato dalla sua amata scuola. Dieci anni da professore e quasi trentacinque da preside potevano, anzi dovevano, bastare. Era tempo di bilanci, ora, e lui volle essere onesto con se stesso. Non era stato un cattivo dirigente, anzi. La sua serietà e preparazione avevano assicurato all’istituto il supporto necessario. Era temuto, rispettato e stimato per ciò che era. Sicuramente meritevole, molto più di alcuni suoi colleghi dediti solo al proprio tornaconto e non all’effettiva crescita dei ragazzi e dei docenti. Sentiva, però, che era mancato qualcosa, quel qualcosa che rende immortale una brava persona.
Una rapida occhiata alle notizie prima di tuffarsi al suo lavoro. Ce n’era una in particolare della quale si discuteva un po’ ovunque: “La margherita è un fiore petaloso”. Matteo, un bimbo di terza elementare di una scuola in provincia di Ferrara, aveva usato il termine petaloso durante un lavoro sull’uso degli aggettivi per specificare che la margherita possiede molti petali e che quindi è un fiore petaloso. Una volta il termine sarebbe stato etichettato come errore e sottolineato con tanto di penna rossa. Nell’occasione, invece, aveva suscitato clamori e complimenti, segno inequivocabile dei tempi che cambiano. La maestra, intanto, aveva inviato una lettera all’Accademia della Crusca per far valutare il termine ottenendo una risposta positiva: esso rispettava tutti i requisiti e, se usato, poteva essere inserito nel dizionario di italiano. Un grande vanto che suscitò un pizzico d’invidia nel preside poiché, sebbene ne fosse contento, gli sembrò quasi che quel bambino e la maestra avessero fatto più loro in quell’occasione che lui in cinquant’anni di onorata carriera. Il bravo giornalista concludeva l’articolo sottolineando che la fantasia dei bambini può illuminare il mondo. Ciò convinse ancora di più il preside sul fatto che non ci potrà mai essere fantasia nei bambini senza la sensibilità dei dirigenti. Un Istituto Comprensivo come il suo, con un migliaio di alunni, aveva bisogno di un preside che non fosse solo un burocrate, ma anche un buon padre di famiglia. Non se ne sarebbe andato in pensione senza una testimonianza forte, oramai era deciso. La sua scuola un fiore, gli alunni i suoi petali, una scuola petalosa, grazie a un bambino di otto anni e a chi gli aveva spiegato che la vita va oltre la razionalità.
È la domenica delle Palme, il preside segue la funzione accanto alla moglie. Nel momento in cui il parroco ricorda che Gesù era entrato a Gerusalemme in groppa a un asinello, tutto gli appare più chiaro. Le classi erano, da sempre, suddivise in bravi e asinelli. Avrebbe dovuto abbattere quella barriera: non esistono gli asinelli, esistono bambini che reagiscono in maniera diversa, bambini che hanno tempi diversi, bambini meno fortunati. La qualità della società non è determinata dai bravi, quelli ci sono sempre stati, ma dal numero degli asinelli. Meno ce ne sono e meglio è. Ecco, questa è la sua missione, i suoi alunni sarebbero stati tutti petali, mai più asinelli. Può, del resto, essere considerato asinello il docile animale che ebbe l’onore di portare Nostro Signore?
Il preside Luigi Stanca sapeva che l’attendeva un lavoro immane, ma sarebbero stati i suoi due anni più belli. La scuola petalosa stava per sbocciare.