Una questione di statistica
Sono passati più di trent’anni dal famoso sondaggio che assegnava sette donne ad ogni uomo. Non so se adesso il rapporto sia rimasto lo stesso, certo è che la popolazione femminile sembra ancora numericamente, e spesso non solo numericamente, superiore a quella maschile.
Accolsi, all’epoca, la notizia delle mie spettanze con evidente e dilagante euforia. Si apriva nel mio immaginario un mondo nuovo, un mondo magico, bello, eccitante. Ero giovane, forte, dinamico. Avevo una vita davanti e, con sette donne a cui dedicarmi, anche un futuro da donnaiolo assicurato. La mia unica incombenza sarebbe stata quella di procurarmi qualche spicciolo per un gelato, una pizza o un biglietto al cinema da poter offrire alla fortunata di turno del mio harem. Non mancai di fare la fotocopia all’articolo di giornale, non sia mai che qualcuno avesse osato mettere in dubbio quanto sostenuto dal bravo giornalista.
In un impeto di generosità, visto anche che le mie sette donne mi erano state oramai assegnate dalla statistica, coinvolsi i miei compagni di scuola distribuendo loro altre fotocopie. Volli farne qualcuna in più, per i miei amici compaesani, quelli d’infanzia, quelli con cui uscivo la sera e con i quali passavo intere estati. Furono tutti entusiasti. «Finalmente!», fu l’unanime pensiero, «Una legge divina che ci rende giustizia». Forse è questa l’età più bella che ci è dato vivere. Di certo, senza forse, è il momento in cui si sogna di più.
Io e i miei compagni chiamavamo donna ciò che donna ancora non era, e questo bastava a farci sentire uomini, noi che per essere tali non immaginavamo quanta strada ancora avremmo dovuto percorrere. Ma era tutto un gioco, un gioco maledettamente serio, ma sempre un gioco. Restava da coinvolgere ancora l’amico più stretto. Munito della mia personale fotocopia, e con quella a lui riservata, mi presentai la sera a casa sua, ansioso di comunicargli la bella notizia. Com’era nelle previsioni si fregò le mani e insieme decidemmo, in previsione anche dell’imminente approssimarsi dell’estate, di prenderci il nostro. Fra tutt’e due avremmo dovuto fare quattordici. Passarono i giorni, piano piano l’euforia iniziale scemò e tutto tornò alla realtà. E passò pure l’estate, bella e spensierata come tutte le estati dell’epoca. In quel dolce vivere c’entrava poco la statistica.
Una sera di inizio settembre il mio amico mi annunciò con aria grave:
«Brù, ti devo parlare!».
«La cosa è seria», pensai, e lo era veramente.
«Dimmi», lo incoraggiai.
«Hai un buon avvocato tra le mani?»
«E che devi fare tu con l’avvocato?»
«Niente, una denuncia per furto».
«E che ti hanno rubato?», chiesi più incuriosito che preoccupato
«Sette donne», rispose lui convinto.