Tra campi inondati di sole
di Paola Lombardi
Il fruscio dell’erba scossa da piccole lucertole sguscianti e il calore intenso e morbido del sole che intorpidisce. L’odore delle balle di fieno e la terra appena smossa per lasciare spazio a nuove coltivazioni. In campagna, io, non volevo venire. Non mi sono mai piaciute le passeggiate tra i campi, troppo stancanti e poi non c’è nemmeno un bar nelle vicinanze.
Non mi sono mai piaciute le scampagnate, mangiare a stretto contatto con la terra. E appena trovi una pietra piatta e ti fermi a riposare qualcuno della comitiva ti esorta a muoversi o peggio arriva trafelato a chiederti se stai male. Che insopportabili le gite in campagna che trasformano gli uomini in filosofi animati da retorica e le donne in bestiali caprette animate dall’istinto.
E inevitabilmente arriva l’incidente. Nella migliore delle ipotesi una storta e una caviglia ingrossata che lievita come una pagnotta sotto il sole. Nella peggiore scoppiano liti furibonde. È sempre così. Qualcuno mi trascina in campagna e mi costringe a starmene sotto il sole. Non solo mi obbliga anche ad essere contento, a saltellare come un idiota tra i campi.
E quando mostro il mio disappunto con un linguaggio non verbale qualcuno mi guarda irosamente negli occhi e mi sfida: “allora perché sei venuto”. Ecco, perché sono venuto? Per non fare sempre il bastian contrario, per non sembrare asociale e per non bocciare sempre le proposte degli altri. Insomma l’ho fatto per gli altri. E tutte le volte, a questo punto della storia, mi ripromett: maledetti campi non mi avrete mai più.