Storie da una crisi: in fabbrica con le donne di Doppio carico
La catena di montaggio, i turni, i capannoni, la logistica, l’ex Eutelia. E ancora, le vertenze sindacali, le mobilitazioni, le sconfitte, le lotte. Pamela, Rina, Gloria, Livia sono alcune delle protagoniste di Doppio carico, il libro-inchiesta di Loriana Lucciarini edito da Villaggio Maori Edizioni, che ci guida dentro le fabbriche, dentro i meccanismi del lavoro insieme alle donne e con le donne.
Loriana Lucciarini scrive usando la lente della sua esperienza nel sindacato e ci accompagna in un viaggio in Italia tra colossi della produzione e multinazionali, tra ricatti piccoli piccoli e tecniche sfiancanti. A guidare il cammino sono le donne, sono loro le voci narranti e le protagoniste di una terribile storia di impoverimento. Sono loro, le donne come Lara e Rosy, a mostrare le ferite di un sistema di produzione che cambia e travolge tutto e tutti soprattutto i più deboli. Cercando gli elementi su cui si fonda il doppio carico si incontrano i volti e le voci di lavoratrici che hanno subito forme diverse di discriminazione, di mobbing, che hanno dovuto scegliere, che sono state scelte senza volerlo, che hanno dovuto lottare il doppio dei colleghi per ritagliarsi uno spazio di rispetto e di accettazione. Grazie a Loriana Lucciarini si entra in fabbrica, si entra nel mondo dei mestieri da uomini dove le donne hanno osato entrare e ancora oggi indossare una molletta per capelli può apparire una sfida. Le otto protagoniste di questo viaggio nel mondo del lavoro in Italia ci mostrano i cambiamenti che hanno saputo azionare con tenacia, spezzando meccanismi comportamentali e inventando un nuovo modo di stare in fabbrica: “Ho dovuto dimostrare di esserne allʼaltezza, lavorando ogni giorno per tenermi stretta la mia autorevolezza in una regione dove purtroppo, ancora, spesso per una donna emergere è complicato”.
Ma questa non è una storia a lieto fine, anzi. L’inchiesta di Loriana Lucciarini inizia negli anni più difficili della crisi e fotografa in maniera spiazzante l’indebolimento delle istanze sindacali, la frammentarietà tra lavoratori e soprattutto la precarietà:
“La condizione di provvisorietà diventa dominante di vita. E, quando si cammina costantemente sul filo dell’incertezza come un’equilibrista della sopravvivenza, la visione delle cose cambia. Quando sei sotto scacco e non trovi futuro, arrivare al giorno successivo diventa un gioco da funambola della rinuncia; sfianca, toglie fiato e speranza”.
Tutto questo, per le donne, si traduce in un doppio carico: da una parte l’attività di cura nella dimensione privata, dall’altra la tensione costante di essere uno degli elementi deboli della catena.
Leggere certi numeri mette in discussione la percezione di certezze e diritti acquisiti. Ad esempio, a proposito di Gender gap pay, ma non solo: “la popolazione femminile in azienda è nettamente diminuita nel corso degli anni: dal 50 per cento siamo passate a essere solo il 35 per cento. I dati sulle dimissioni dimostrano che le donne se ne vanno tramite esodo incentivato, ciò significa che lasciano il mondo del lavoro per tornare a occuparsi della cura dei familiari. È palese che la crisi sia pagata di più dalle donne”.
Gli ultimi anni sono stati decisivi al negativo per l’occupazione femminile: “La crisi ha visto rientrare le donne tra le mura domestiche; inoltre nelle nuove assunzioni si tende a escluderle perché la maternità viene ancora concepita dalle parti datoriali 107 come un costo a perdere”.
Dalla riduzione di opportunità occupazionali derivano altri fenomeni, a volte, inquietanti: “Quella dell’occupazione femminile va di pari passo con un machismo imperante. Avere meno soldi limita il diritto (che comunque costa) di vivere una vita libera nonché quello di poter fare le proprie scelte”.
Le storie che Loriana Lucciarini raccoglie attraverso un’Italia alle prese con Jobs Act, delocalizzazioni, globalizzazione, precarietà generalizzata sono un continuo mettere in guardia a chi pensa di stare in un giardino fiorito inviolabile. C’è poco da stare tranquilli e a pagare il prezzo più alto sono le donne: “Aspiro a un paese dove si possa essere tutti uguali. nella nostra regione (le Marche) le molestie fisiche o i ricatti sessuali sul posto di lavoro coinvolgono 41 mila donne, pari all’8,3 per cento e, negli ultimi tre anni, si è arrivati a quota 16 mila. Si stima inoltre che 36 mila abbiano subito ricatti sessuali per ottenere un’assunzione, mantenere il posto di lavoro o ottenere avanzamenti di carriera”.
Quello che è emerge con forza, tuttavia, è che non è più soltanto una questione di genere riaffermare i diritti delle lavoratrici nelle fabbriche e nei posti di produzione, anzi accettare le dinamiche della discriminazione di genere significa interrompere l’unità del ‘noi’ e diventare tutti più fragili: “Non c’è più riguardo per la differenza di genere o di età, per esempio, ma nemmeno ci si fa scrupoli verso lavoratori e lavoratrici a ridotte capacità produttive. Si gioca sulla mancanza di lavoro e quindi sull’ipotetico rischio di essere messi in ammortizzatore sociale, si gioca sulla paura per arrivare a colpite le persone scomode. Scomode politicamente, ma non solo: vengono colpite anche quelle poco produttive. Il lavoro è stato completamente spersonalizzato”.
I racconti aprono finestre su spaccati di vita in cui la quotidianità personale e privata si mescola con l’attività professionale. In discussione c’è un modello di società che forse non è efficace, che forse si sta trasformando in un fiume in piena che travolge tutto e resistere non è facile. La forza più grande di queste storie al femminile è la capacità di preservare intatta l’umanità e la voglia di cambiare: “Mi fissa, sorride: «Io, da salmone, topolino, robot, ape operaia voglio ritornare donna, essere umano. Capace di vivere e di sognare. È un mio diritto e me lo riconquisterò»”.