Il senso del lavoro
L’allarme era suonato in piena notte. Un ospite della villa aveva scavalcato il muro di cinta durante la distribuzione della cena ed era fuggito.
Lo avevano ritrovato all’alba, completamente nudo, dentro la cuccia del cane del vicino. Lo sfrattato intanto, un grosso pitbull nero come la notte, tremava a qualche metro di distanza, mentre un rivolo di sangue gli scendeva da un orecchio. Si era formato un capannello di persone tra addetti ai lavori e semplici curiosi. C’era chi imprecava, chi piangeva, chi rideva cercando di cogliere un po’ d’ironia e chi rideva e basta.
Graziella si sentiva stanca. Mancavano due giorni a Natale e non aveva ancora combinato niente di buono.
Qualche giorno prima era dovuta intervenire, sempre in piena notte, per sedare una rissa tra due che se l’erano date di santa ragione. Avevano litigato perché uno aveva freddo mentre l’altro caldo e si erano incolpati a vicenda. Fregandosene del trambusto, un altro di loro aveva ultimato il suo pasto a base di intere bobine di fili elettrici che il tecnico della manutenzione aveva lasciato colpevolmente incustodite.
«È una vitaccia!», aveva esclamato un’infermiera. «Per noi e per loro», aveva confermato una sua collega. Graziella non aveva voluto perdere tempo e si era recata nello spogliatoio. Almeno la giornata volgeva al termine, di lì a poco avrebbe trovato ristoro presso la sua famiglia, avrebbe abbracciato i suoi figli e scherzato con suo marito, davanti ad una gustosa cenetta e dopo una doccia bollente. Smessa la divisa aveva oltrepassato il corridoio e notato il vaso che un paziente aveva sradicato dal pavimento del bagno e gettato dalla finestra mentre il direttore passava di sotto.
Graziella non aveva fatto in tempo a chiudersi dietro la porta che era arrivata trafelata una sua collega. «Devi venire giù, è urgente». Graziella aveva avuto un tuffo al cuore «Che altro c’è adesso?».
«Tuo figlio, sta facendo il matto, non riescono a reggerlo in quattro. Chiede continuamente di te». Graziella aveva un figlio, ovvero uno che si credeva suo figlio. Era anziano, troppo rispetto a lei. Nella vita reale non sarebbe mai stato possibile. Ma qual è la vita reale se non quella che ognuno vive? Graziella era arrivata giù rassegnata. Suo figlio si dimenava come un forsennato. Era piccolo ma forte, dicono che in un certo stato la forza si centuplichi. Avrebbero dovuto prelevargli il sangue per le analisi, ma lui non aveva la minima intenzione di lasciarsi manipolare. A Graziella era venuta in mente la rivista che aveva letto qualche settimana prima, in particolare l’articolo in cui si diceva che la passione è fondamentale nel lavoro. E in quel momento si era chiesta cosa ci fosse di bello nel suo lavoro. Le ore di sonno perse forse? Oppure lo stress?
Venne richiamata alla realtà dalle grida di giubilo di suo figlio. «Ecco mamma, avete visto che c’era? Mamma, cosa mi vogliono fare?».
Graziella aveva sorriso mentre gli occhi le si erano inumiditi. «Stai tranquillo, le analisi te le devi fare, è per il tuo bene. Facciamo una cosa, se fai il bravo te le faccio io». Graziella aveva preso la siringa e con grande maestria aveva eseguito il prelievo a suo figlio che durante l’operazione se n’era stato immobile senza fiatare.
Non gli aveva provocato alcun dolore, perché una mamma vuole sempre bene ai suoi figli. Graziella aveva salutato di fretta e, in notevole ritardo, era corsa dalla sua famiglia lasciando a bocca aperta dottori e infermieri.