Sei tu che ho tradito
Nel buio dei tuoi occhi spenti ho cercato un lume di speranza. Eri così seduta in te stessa che non credevo ti saresti più alzata per andare via.
Dove non ti importava e non sapevi nemmeno come aprire la porta senza vedere, o se fosse stato meglio dalla finestra per cadere ancora più in basso di quanto ritenessi possibile.
Le pareti della stanza ti stavano addosso braccando ogni tuo movimento, solo ora ho scoperto che erano fatte di malsana aria e paranoia. Il cibo senza gusto proveniva da
scatoloni da cui mangiavi controvoglia pezzi di polistirolo; erano l’imballo del mio ingombrante bagaglio.
Era difficile percorrere il corridoio per raggiungere la tua stanza e per questo spesso non venivo.
Eri isolata dal terreno, distaccata dalla realtà, e la porta chiudeva, mai apriva, la luce spegneva, non illuminava, e il silenzio assordava lasciando senza parole i discorsi vuoti scritti con il pennarello sulle altre pareti, quelle fatte di carta, fatte dello stesso materiale delle nostre maschere, dipinte a mano ma distrattamente, non seguendo i contorni e imbrattando troppo del nostro nome.
Eppure sapevo ritrovarti in un respiro quando fuori gli altri mi calpestavano, la tua mano delicata mi sfiorava nel mio profondo autentico per difenderlo dalle fredde tenebre che tutto avvolgono se non sai riscaldare con un sorriso, un gesto, con un piccolo passo.
E se arrogante sono stato il primo della classe, sono stato l’ultimo a comprendere quanto ho sbagliato di me nelle vostre assurde regole che tutto spengono al freddo di un fuoco soffocato dalla cenere che non fuma nemmeno arreso alla sua fine.
E proprio da questo punto inizio a costruire il nostro nuovo palazzo sporcandomi le mani in quei cumuli di fuliggine per garantire un respiro alla mia fiamma, ora repressa e minacciata da tutto il gelo che vuole soffocarla.
Lo faccio per te, Anima mia, lo faccio per guadagnarmi il tuo sguardo splendido Essere che vive nella miseria dello spazio in cui ti ho relegato spacciandoti per castello un
sacco di bugie che hanno consolidato invece i muri della nostra misera prigione.
Potrei tentare di giustificarmi: “Volevo solo proteggerti!” – ma ritengo ben più meschino il mio comportamento se distorco la realtà per adattarla alle mie scuse.
Credendo nei giudizi degli altri ho dato più importanza al loro blaterare che alla tua voce. E se con una mazza ora demolisco le pareti imbottite di manicomio e i soffitti che bloccano la vista, quell’inutile porta sprangata contro il buon senso e le finestre chiuse da inferriate fissate nella prigionia, lo faccio per liberarci da tutta questa follia.
Vorrei chiederti perdono, ma tu mi conosci così a fondo in ogni aspetto di me che la comprensione accompagna ogni tuo gesto e la pazienza domina sovrastando l’inevitabile pensiero di abbandonarmi al mio fato.
Lo so per certo di non essere mai stato da solo; è successo in mezzo agli altri perché cercavo la loro approvazione dimenticandomi di te e di chi in realtà sono.
Quante volte ti ho tradita mettendoti all’angolo? E per conquistare ciò che finto mi ammagliava, disperdevo all’aria il valore delle mie scelte assorbito dalla terra che mi trascinava sempre più sotto per chiudermi in una grotta in cui poi rimpiangere dolorosamente il cielo e il sole, le nuvole e il mare.
Non è forse questa la follia del nostro tempo? Preferire il peso di una pietra da possedere rinunciando a volare liberi più in alto di ogni dove, più in là di quanto possiamo immaginare.