Pure in carcere lo sanno fare

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“Sarà un corso di alto livello”, mi assicura una delle responsabili che ci accompagna alla presenza di uno stuolo di guardie, educatori e operatori vari. Procedo titubante con Paola e Carmelina con le quali condividerò questa esperienza. “Di alto livello?”, mi chiedo mentre un groppo comincia a salirmi per la gola, “E avete chiamato me?”.

Intanto dietro di noi si chiude il portone. Una botta secca, raggelante. Siamo dentro, siamo in carcere. Ci fanno visitare l’aula in cui dovremo tenere il corso di presepismo e comincio a buttare giù una prima bozza del programma. Non ricordo in quei momenti chi è la responsabile di che, chi l’educatore di cosa, chi rappresenta la Caritas. Ne sono tanti. Memorizzo solo il comandante delle guardie poiché veste come le guardie e lo chiamano comandante.

Ci invitano a seguirli perché andremo dagli ospiti della Casa Circondariale, quelli che con tutti i loro problemi dovranno aprire il loro cuore per accogliere il presepe, simbolo di fede e tradizione; come parlare di matrimonio ad uno che ha appena divorziato. Invidio Andrea, il nostro presidente, assente giustificato. Vorrei essere altrove, ma oramai la frittata è fatta. “Mannaggia a me che ci sono cascato…”.

Comincio a sentire il rumore di ferraglia; sono i cancelli che si chiudono. Cancelli e inferriate sono distribuiti in lungo e in largo. L’aria è pulita ma sa di carcere. Mentre procediamo lungo i corridoi che fino a quel momento avevo visto solo nei film, mi rendo conto che conosco quasi tutte le guardie. Mi sento un po’ meglio. Uno di loro mi sorride e mi chiede se sono venuto per vendere. In un certo senso è vero, sono venuto a vendere quel barlume di bontà che anima le mie membra. Le guardie spuntano come i funghi; mi stringono la mano, alcune sono donne, belle donne. Per un attimo metto da parte la parità e mi viene da chiedergli chi glielo fa fare. Ma non dico niente, perché nel frattempo si apre un cancello, l’ultimo.

I ragazzi si sono accomodati tutti. Mi fanno impressione quelli più piccoli. Cerco in loro una diversità che non trovo. Per un attimo penso alla mia famiglia a casa.  Mi sembra che non abbiano tanta voglia di ascoltarci. Li fisso per stabilire un contatto, poi abbasso la testa perché non ce la faccio a sostenere il loro sguardo. Mi aggrappo agli educatori e colgo nei loro occhi l’esigenza di mettere assieme professionalità e umanità. Parlano prima loro, si vede che sanno quali tasti toccare. Poi tocca a Paola e Carmelina portare il saluto del presidente, ribadire che noi siamo la Vds, volontari della sicurezza protezione civile di Cassino che si occupa di antincendio boschivo e tante altre cose come organizzare un corso di presepismo, per esempio. Tutto gratis, ovviamente.

Poi tocca a me. Un respiro profondo e attacco. “Sin da bambino, da quando vado a messa, ho notato che di tanto in tanto dietro al foglietto delle letture compare l’esortazione della chiesa a visitare i carcerati. Per tale motivo sono cresciuto con questo senso di colpa, senso di colpa che ha suscitato in me anche una certa curiosità. Qualche tempo fa, rileggendo una domenica la stessa esortazione, ho pensato che fosse giunto il momento di chiarire. Allora ho chiesto a più di qualche parroco come mai la chiesa, papi compresi, ci dice di visitare i carcerati ben sapendo che per un civile ciò è praticamente impossibile. L’argomento è particolare, non mi hanno ancora risposto, magari un giorno lo faranno. Io intanto, nell’attesa, mi sono inventato il presepe per venirvi a trovare”. Ridono. Miracolo. Continuo, mi hanno insegnato che il ferro si batte finché è caldo. “Perché siamo qui? Ciò che voglio dirvi è che siamo stati noi a venire da voi, voi già eravate qui e non avete certo chiesto di noi. Ed è pertanto evidente che in tal senso siamo noi ad aver bisogno di voi; abbiamo la necessità di colmare il nostro bisogno di calore umano. Io non so quali errori avete commesso, ma conosco i miei… Mettiamola così. Sono stato più fortunato di voi, perché i miei errori sono meno eclatanti dei vostri. E quando ho sbagliato sono sempre ripartito dalle piccole cose; il presepe, per esempio. Una soluzione buona anche per voi perché come dico a tutti i corsi che faccio: Non tutte le brave persone fanno il presepe, ma per fare un presepe devi essere una brava persona“.

Vedo gli occhi lucidi di Paola e Carmelina e sento i miei. Uno dei ragazzi alza la mano e chiede se può parlare: “In dieci anni che sono qua, di tutti coloro che sono venuti sei il primo che si commuove per noi”. Vorrei fermarmi ed andarmene perché sento di non avere altro da dare. Passo ai cenni storici e religiosi del presepe e cerco di spiegare le varie tecniche. “Perché hai scelto proprio il polistirolo?”, mi chiede un ragazzo. “Una sera mia moglie Anna, guardando uno dei miei primi presepi, disse: “È troppo freddo il polistirolo, non mi piace». In effetti avevo realizzato un obbrobrio. Ma in quel momento accettai la sfida, ovvero rendere caldo ciò che è freddo. E noi singolarmente siamo come pezzi di polistirolo; è con la condivisione che accade il miracolo”. Arriva il momento dei ringraziamenti, non prima di aver proiettato un piccolo filmato che abbiamo realizzato durante il corso di qualche anno fa presso la nostra sede.

Per i ragazzi è una finestra aperta verso la libertà. Uno mi dice che lui è il più bravo perché gli piace impastocchiare, un altro che faceva il presepe da piccolo con il nonno. Un altro che gli dispiace ma deve fare teatro. C’è qualcuno che si deve laureare. Mi sembra di conoscerli da una vita. Ci vengono a salutare perché è ora di tornare nelle celle. Il più loquace mi dice che ho coronato il mio sogno, quello di venire in carcere. Uno dei responsabili mi conferma che di loro ne sceglierà una decina, il numero giusto per la sala che abbiamo visitato all’inizio. Mi chiedo chi sceglieranno e come. I ragazzi si abbracciano tra di loro.

Poi rifacciamo il tragitto in senso contrario, sempre accompagnati dalle guardie e dai responsabili. Ora il passo è più sciolto. La ferraglia che si richiude dietro di noi fa meno rumore.

Varchiamo il portone principale e respiriamo la nostra aria. La stessa aria che ho respirato in carcere quando ho vissuto il presente.

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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