Oh che bella fantasia
Visto che qui tutti raccontano delle bellissime storie, provo a raccontarne una anche io. Beh, a dire la verità non si tratta di una storia vera e propria, ma solo di un piccolo ricordo legato alla mia famiglia di origine.
I miei nonni paterni, Petronilla e Giacondino, ebbero sette figli. La prima, Maria, morì di parto dopo aver dato alla luce Mario. La tragedia si consumò a seguito della maldestra medicazione a base di tintura di iodio che una levatrice, a dir poco criminale, propinò alla poveretta provocandole irreparabili ustioni interne. Aveva all’incirca venti anni, ed era l’epoca in cui tutto era normale per il solo fatto che le cose accadevano e basta, senza se e senza ma. Per questo fu altrettanto normale che Mario, subito dopo la morte della mamma, venisse prelevato e portato dal padre in America senza che i due mettessero più piede in Italia. E per chiudere il cerchio di tale normalità non solo posso dire oggi di avere uno zio e un cugino che non ho mai conosciuto, ma che addirittura ne ignoro i cognomi. “Si stava meglio prima”, dice qualcuno. Certo, vuoi mettere due compleanni in meno da festeggiare e altre incombenze varie…
Sistemata, ahimè, la pratica primogenita, nacque un bel maschietto (dico bello per modo dire poiché non so se fosse tale) che chiamarono Domenico. A seguire toccò a Domenica, oh che bella fantasia, venire al mondo. Fu la volta poi di Antonio e di Antonietta, a confermare la fantasia di cui sopra; poi toccò a Francesca e dopo di lei a un altro maschio, mio padre. “Lo chiamarono Francesco!”, direte voi pensando che anche stavolta sarebbe bastato sostituire la a con la o come in un gioco. E invece no, rimarrete stupiti perché i miei nonni, o per distrazione, o perché stufi da quel monotono trend, ebbero un inatteso guizzo di fantasia. Decisero per Filippo e Filippo fu il nome di mio padre.
Quando nacqui io, sua primogenita, già avevano deciso di chiamarmi Petronilla, come la nonna. «Perché Petronilla?», mi sono chiesta per anni. Per rinnovare il nome della nonna o perché avevo, come lei, delle orecchie diciamo “importanti”? L’origine di questo mio complesso in verità è attribuibile a mia sorella Maria; l’ho detto che dopo di me nacque mia sorella? Se non l’ho ancora fatto lo faccio adesso. Ebbene, fin da piccolissime, ogni volta che litigavamo mi chiamava “recchiona”. Per tanto tempo ho portato una fascia che le copriva, ne avevo una in pendant con ogni vestito. Fu Arnoldo, mio marito, a garantirmi che non erano assolutamente grosse come avevo sempre pensato e tanto fece che buttai tutte le fasce.
I nomi son belli tutti, il segreto è indovinare quello giusto, perché non siamo tutti uguali. Ad ogni modo, orecchie grosse o piccole che siano, avrei dovuto, come già detto, chiamarmi Petronilla. Ma al momento del battesimo la mia madrina, che mi pare fosse di Caira, piccola frazione di Cassino, dopo aver saputo del nome che mi stavano appioppando, si rivolse a mia madre con un tono che non ammetteva repliche: «Oh Maronna mia, e pecchè vulete mette se nome a chesta peccerella accuscì bella? Metteteglie glie nome mi!»
Si chiamava Lidia.