L’uomo col cappotto
di Tommaso Di Brango
Si passò una mano sulla fronte madida di sudore. Era mezzogiorno e mezzo e l’estate, a quell’ora, colpisce con più forza. Aveva appena spazzato il pavimento e buttato i capelli di un cliente nella busta nera dell’immondizia: gli rimaneva solo da mettere la poltrona girevole in posizione frontale rispetto allo specchio, chiudere la porta a chiave e andare al bar da Luciano.
Abbassare la serranda non serviva, tanto nel pomeriggio sarebbe tornato.
L’aperitivo prima di pranzo era un piccolo peccatuccio che non riusciva a vietarsi. Dopo aver maneggiato barbe e baffi e capelli per una mattinata intera Mario aveva bisogno di buttarsi in gola il freddo del Crodino prima di andare a casa, godersi il pranzo in famiglia e fare pennichella.
E poi da Luciano c’erano sempre novità riguardanti il Comune che a sua moglie piacevano come il cacio sui maccheroni. Così rigirò la poltrona, uscì dalla stanza e chiuse a chiave la porta alle sue spalle. L’insegna “Barbiere Mario”, incollata cinque anni prima con lettere rosse sulla porta a vetri, gli sembrava un po’ scolorita.
Il bar Luciano era fortunatamente a pochi passi. Mancava una settimana a Ferragosto e la piazza del paese era un forno.
Il senso di solitudine che Mario provava tutte le volte che terminava il turno mattutino in estate non gli era però sgradevole e gli restituiva, anzi, l’idea di avere tutt’intorno una profonda calma. In quei momenti si sentiva come se potesse parlare coi suoi paesani tutti assieme.
Giunto a destinazione, però, si ritrovò di fronte una sorpresa. Appena messo piede nel bar, infatti, Mario vide Luciano che, sfoggiando un sorriso a trentadue denti e sforzandosi di parlare in un italiano che non aveva mai veramente praticato, disse: «Buongiorno a signoria!». La cosa lo lasciò fermo come un sasso sulla porta. Erano vent’anni che Luciano, aspettando il suo arrivo a quell’ora, si faceva trovare col Crodino praticamente in mano e biascicava un ironico: «Beato te che porti a riposo le ossa!». Cos’era successo?
«Luciano? Tutto a posto?», gli chiese con voce perplessa.
«Vogliate perdonarmi» fece una voce alle sue spalle.
Mario si voltò e vide di fronte a sé un signore magro, con un paio di bei baffetti bianchi e gli occhi scuri e piccoli, che indossava un pesante cappotto invernale e un cappello.
Il barbiere ebbe un attimo di esitazione. Mentre entrava nel bar non c’era nessuno nei paraggi: da dove spuntava fuori quell’individuo? E soprattutto: perché andava vestito in quel modo a ridosso di Ferragosto?
«Vogliate perdonarmi davvero, signore, se abuso così della vostra cortesia. Solo, ecco, vorrei entrare», fece nuovamente l’uomo con voce calda. Dalla parlata non si riusciva a indovinarne la provenienza. Non sembrava del posto, eppure Luciano era scattato sull’attenti come se si trattasse di una persona molto nota e illustre in paese. Chi diavolo era?
«Ehm…scusate… Non mi ero accorto…» fece Mario scansandosi, ma il signore passò accennando un sorriso, come se volesse rassicurarlo. Aveva un colorito pallido e, malgrado indossasse cappotto e cappello, non era possibile scorgere nemmeno una goccia di sudore sul suo viso. Sembrava uscito da un romanzo.
Ci fu qualche secondo di silenzio che Luciano si incaricò di rompere rivolgendosi all’ospite: «Prego eccellenza, al vostro servizio!».
«Vi sono grato per la gentilezza che mi usate – rispose l’uomo –, ma credo di essermi intrufolato indebitamente. Non c’era il signore prima di me?», chiese guardando verso Mario.
«Ma no no… si figuri…» rispose quest’ultimo asciugandosi il sudore dalla fronte. Non riusciva a spiegarsi come diavolo facesse quell’uomo dall’aspetto distinto a restare asciutto come se fosse pieno inverno. «Luciano, davvero – aggiunse –, servi prima il signore: non c’è problema». L’uomo col cappotto allargò quasi impercettibilmente le labbra e gli occhi riproducendo il sorriso lieve di pochi istanti prima, dopodiché si voltò verso il barista e disse: «Gradirei allora un pacchetto di Pavesini, se possibile».
«Immediatamente eccellenza!» replicò Luciano, che in un batter d’occhio si voltò, mise mano ai biscotti disposti vicino alle buste di patatine fritte e glieli porse. L’uomo ringraziò cortesemente, dopodiché si voltò verso Mario e disse: «Abbiate pazienza e perdonate la mia poca delicatezza. Vi ringrazio ancora moltissimo per la cortesia usatami». Mentre diceva queste cose aveva negli occhi una specie di lucentezza particolare, come se nel buio delle pupille si riflettesse una luce di cui era difficile capire l’origine.
«Si…si figuri… Colpa mia che avevo bloccato l’ingresso…», replicò Mario con un tono un po’ perplesso. «Ma per favore! Non ha proprio nulla di cui scusarsi!», rispose l’uomo. «Sono stato un po’ frettoloso io – proseguì – nel chiederle il passaggio. E ora tolgo il disturbo: buona giornata a lei e al simpatico Luciano!». Detto questo uscì dalla porta del bar e svoltò a destra.
«Crodo?» fece Luciano a Mario, che si limitò a guardarlo senza rispondere. «Mbè?», proseguì il barista con un pizzico di sufficienza: «Non l’avevi mai visto prima?».
Mario non disse nulla. Si limitò ad asciugarsi nuovamente il sudore dalla fronte con un braccio e corse fuori dal bar nel tentativo di capire che strada intraprendeva l’uomo col cappotto. Tuttavia, una volta giunto in piazza, la trovò vuota come quando aveva chiuso la sua bottega per andare a prendere il Crodino. Dov’era finito?
«Quello è lo scrittore», disse Luciano lanciando la voce fuori dal bar. «Tu non l’hai mai visto perché di notte ti butti sul letto, ma io che chiudo a mezzanotte passata l’ho incrociato diverse volte». Mario si voltò verso Luciano con aria interrogativa. «Di notte?», chiese meccanicamente.
«Sì sì – replicò il barista –, di notte. È difficile vederlo passeggiare in paese durante il giorno: esce solo dopo la mezzanotte, quando in strada non c’è più nessuno. Lui dice che lo fa perché vuole sentire l’atmosfera del paese e che ha bisogno di solitudine». Mario rientrò lentamente nel bar mentre Luciano, da dietro al bancone, apriva un lavandino per pulire i bicchieri. Aveva un’aria perplessa, sembrava che non gli tornassero i conti.
«Che è, ti ha spaventato?» chiese Luciano.
«No no» rispose Mario con gli occhi fissi in un punto indefinito, visibilmente soprappensiero. «Cammina di notte perché ama la solitudine…», disse ancora.
«Ma sì, questi scrittori sono tutti strani! Senti: lo vuoi un Crodo?».
Mario si voltò verso Luciano come se si stesse risvegliando, dopodiché guardò l’orologio e, avviandosi all’uscita, rispose: «No grazie, si è fatto tardi. Torno a casa, per oggi niente Crodo. Ci vediamo stasera!».
Una volta giunto a casa andò, come di consueto, a controllare la cassetta postale e al posto delle bollette trovò un libro. Si intitolava Il mar delle blatte e altre storie.