Lui ci vede il sole

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Guido ha tredic’anni. Cammina con andatura smargiassa e affonda le mani nelle tasche dei suoi jeans anni ’90, chiari e sdruciti. In questa posizione, appare sicuro di sé, imperturbabile, coraggioso. Chissà, però, cosa succede, in quelle tasche. Le dita saranno ben distese e rilassate? Oppure le mani, di tanto in tanto, continuando a stare nascoste, si stringono in pugni stretti, come per sfogare fisicamente, in silenzio, una tensione atroce, un disagio sociale, un’improvvisa voglia d’evadere? Nessuno, all’infuori di Guido, sa cosa stia accadendo in quelle tasche profonde. Non lo saprebbe nemmeno un insetto. Dopo una manciata di minuti, si accorge di provare un lieve dolore ai polsi a causa di quella posizione allora, per non far svanire la sua immagine di ‘uomo spavaldo e terribilmente sicuro di sé’, ne sfila una e la lascia cadere lungo il fianco, mentre l’altra resta in tasca. Raggiunge la piazza centrale del suo piccolo paese, punta una panchina, s’avvicina e vi si siede, con le gambe volutamente allargate, la testa spostata un po’ di lato e un mezzo sorriso. Si guarda intorno e, tristemente, s’accorge di conoscere almeno il settanta percento della gente che gli brulica attorno: l’ingegnere Torrisi, amico di suo nonno; Franco Cuocoli, suo compagno di classe; la signora Maria e… butta fuori l’aria e chiede a se stesso perché nessuno lo saluti. Perché nessuno fa caso a lui? Perché tutti ignorano Guido, come se fosse un albero, un lampione o una panchina?

– Buongiorno, signora Maria.
Agita una mano verso la donna che, con la borsetta sotto l’ascella e un foulard in testa legato sotto il mento, a passo svelto, è in procinto di entrare in chiesa. La signora Maria si gira verso Guido e, con aria assente e indifferente, ricambia il saluto con un debolissimo, quasi impercettibile cenno del capo. Spinge il corpo in avanti, poggia i gomiti sulle ginocchia e si porta la testa tra le mani; nei paesi piccoli, dove ci si conosce tutti, è frequente portare, agli occhi degli altri, un’etichetta per la vita. un marchio, insomma, che si trasmette a figli, a nipoti, pronipoti. Guido analizza compiutamente i meandri della sua mente: cosa può aver portato il suo paese ad ignorarlo così? Forse puzza? Si porta il naso sotto le ascelle. Niente. Forse ha grandi pezzi di forfora tra i capelli neri? Si tocca la testa, ma sente solo una massa setosa e liscia, sotto i polpastrelli. Forse è la sua faccia, la sua espressione. Forse non si lava spesso i denti e la gente, un giorno, ha notato la chiostra dei denti giallo ocra ed è rimasta traumatizzata. Può essere. In fondo, non ha mai amato lavarsi i denti. Non bastano tredici anni a capire perché la gente non lo consideri? Andiamo: Guido sa che non può essere per i denti. A meno che qualcuno non abbia fatto caso al periodo in cui portava ancora l’apparecchio e, dopo aver mangiato la pizza rossa, gli capitava spesso di avere un campo di pomodori incastrati tra i denti metallici. Alza le spalle e annuisce a se stesso. Ma sì, sarà uno di questi motivi.

– A casa, mi farò una doccia, strofinerò bene i denti e tutto sarà normale.
Si alza dalla panchina più sollevato e sorride. D’un tratto, gli si avvicina Giuseppe, il suo compagno di banco. Gli occhi di Guido sono spalancati ed emanano una luce di euforia, timidezza, incredulità.
– Ciao, Guido.
Rimette le mani in tasca, per sentirsi sicuro.
– Ciao, Giuseppe.
Il compagno sposta il peso del corpo da un piede all’altro, sembra titubante, poi si decide.
– Senti, hai fatto gli esercizi di matematica? Ti sono usciti?
Guido, felice per l’importanza che gli viene data, annuisce e sorride ancora. È sicuro che Giuseppe stia per chiedergli di andare a casa sua, in modo tale che possa imparare da lui il metodo migliore per risolvere quegli esercizi che gli sono sembrati tanto facili; chissà, se faranno presto, potranno fare una partita a pallone, giocare a carte, o…
– Bene. Non è che domani puoi venire a scuola un po’ prima, così me li copio? Quella di matematica sta a prima ora e mi sa che m’interroga.
Uno schiaffo gli avrebbe fatto meno male.
– Sì. Okay.
– Guido! Quante volte ti ho detto che quando esci devi dirlo a me o ai nonni?

In un attimo, l’aria delusa che aveva preso vita sul suo volto scompare e lascia il posto alla gioia. Eccola, la sua giovane mamma. Alta, magra, con la voce arrochita dal fumo, due occhi lucidi e un po’ persi, guarniti da occhiaie di un verde-blu particolare. Eccolo, il suo sostegno, la sua felicità, il suo unico amore. La donna si china davanti a lui e, mentre gli tocca il viso dolcemente, con le mani che le tremano un po’, si scoprono sulle braccia semicoperte dal giubbino di pelle dei tatuaggi colorati, che danno l’idea di festa, di libertà, di allegria.

– Scusa, mamma.
La donna gli sorride. D’un tratto Giuseppe, rimasto lì immobile, cerca di non guardare quel viso. Sa già che, se lo guardasse, stanotte avrebbe gli incubi, com’è accaduto l’ultima volta: le mancano i due canini. I tatuaggi lo intimoriscono. La voce arrochita gli ricorda quella di una strega. E poi i suoi genitori gli hanno detto di evitare quella donna, perché ha avuto dei problemi, un tempo prendeva troppe medicine, fumava quelle sigarette che hanno quell’odore strano e faceva troppe punture sul braccio. E dopo quelle punture dormiva e sognava con gli occhi aperti. Giuseppe si fida dei suoi genitori. Si fida della signora Maria, che ha detto che la mamma di Guido è una forsennata che non va mai in chiesa, a chieder perdono a Dio per aver avuto un figlio senza padre.

– Io me ne devo andare, ciao!
Giuseppe, senza guardare in faccia Guido e sua madre, corre via velocemente.
Guido sospira, un po’ spaesato. Mentre stringe la mano di sua madre e s’incamminano verso casa, ha un moto d’illuminazione. Ma certo: lui non puzza. Non ha la forfora. Forse i denti gialli li ha, sì, ma non si ignora una persona per i suoi denti. Non sa come mai non l’abbia capito prima che il problema, per gli abitanti di quel paese, è il passato di sua madre. La gente, però, deve capire che sua madre non si fa più punture, fuma poche sigarette profumate e non prende più medicine. Perché l’ingegnere Torrisi, la signora Maria e i suoi compagni di classe non fanno caso a quanto sia bello il sorriso della sua mamma?
Continuando a camminare, si stacca da lei, infila le mani in tasca e le stringe in pugni ferrati. Vorrebbe che tutti guardassero senza pregiudizi il viso di sua madre.
Lui ci vede il sole.

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