Litigiose infelicità
“Tu sei felice?”, la domanda, nella sua innocua leggerezza, rimane sospesa nell’aria. Maria non sa decidersi. In fondo è una domanda banale, in fondo è una domanda come tante. Pensa alla risposta più efficace. Ad esempio, un amorevole “Sì quando sono con te”, oppure un laconico “Sì”. E invece, in quel momento, non le viene alle labbra che la risposta meno adatta. Si volta verso Marco, lo osserva con attenzione, ed esclama: “No”. Nient’altro. Non aggiunge niente.
Marco spalanca gli occhi e la guarda. Cerca con tutte le sue forze di guardarla in faccia. Maria si nega, abbassa lo sguardo e gira il viso verso uno dei pini marittimi.
“E perché non sei felice? Ti manca qualcosa? Ti faccio mancare qualcosa?”, le domande di Marco scorrono l’una dopo l’altra sostenute da un’intelaiatura di frustrazione. Un’ansia crescente si indovina sul suo volto corrucciato. “Ma come mi rispondi?” e non è chiaro se sia una domanda o un’imprecazione. “Allora? Perché non saresti felice?”.
Maria si scosta la frangia di capelli dalla fronte, con un impercettibile movimento delle spalle manifesta il suo fastidio. “Non lo so perché, ma come si fa a dire che si è felici? Tu pensi di essere felice?”, sorride pensando di aver fatto colpo. Marco, livido, le risponde con una voce ferma e decisa: “Sì, io pensavo di essere felice. Perché pensavo che tu eri felice e insieme eravamo felici”.
“Scusami se te lo faccio notare, tu pensi di essere felice perché io sono felice? Non credo che funzioni così. Devi essere felice anche da solo, non in funzione della mia felicità. Cosa vuoi fare? Addossarmi la responsabilità della tua felicità? Io non ci sto”.
“No, tu non hai capito, io vorrei prendermi la responsabilità della tua felicità. Insomma, stiamo insieme, ci amiamo, dovremmo essere felici insieme no? Ho sempre pensato che essere in coppia significasse questo. Tu sei un’egoista”.
Maria pensa di non essere egoista, si sente improvvisamente offesa. Guarda Marco ed è combattuta tra la voglia di tranquilizzarlo e la tentazione di far precipitare le cose. Resta in silenzio, si accorge che la panchina non è così comoda come aveva sempre pensato e che il panorama è un po’ scialbo e insignificante. “Senti, non so perché ti ho risposto no, ma in effetti non posso dire di essere felice. Alla felicità si deve arrivare, deve essere sempre un passo avanti a te e tu devi tentare di afferrarla, se no è una felicità da poco. Mica si compra al supermercato. E tu? Puoi dire di essere felice?”
Marco si sente stanco, improvvisamente non ne può più. Non ce la fa nemmeno a sentirla parlare quella donna che gli sta accanto. E poi ha i fianchi troppo larghi e a lui non piacciono le donne con i fianchi larghi: “No, decisamente non sono Felice. Mi chiamo Marco non a caso”. Si alza, si rassetta i pantaloni e se ne va lasciando Maria di stucco seduta sulla panchina indecisa se ridere della battuta oppure alzarsi e corrergli dietro in lacrime.