Letture
Quel mattino il letturista del gas lo mandarono a una zona nuova. Ci passava ogni tanto da quelle parti non è che il posto lo bazzicava. S’era alzato dal letto mezzo stonato aveva dormito a spizzichi era rimasto curioso stranito, il quartiere non gli competeva. Copriva un’assenza, capitava una sostituzione ma lì non gli era mai toccato.
Il posto era bello. C’erano casette ben tenute quasi villette, un parco che pareva un boschetto. Lesse i contatori che sembravano antichi, grigi e con le tacche girevoli, ma aveva una smania. Dopo un’oretta e mezzo si guardò attorno. Dall’altro lato della strada c’era un’entrata secondaria del parco. Di solito era operativo e meccanico fino all’ultima lettura ma stamattina, sarà stata la nottata storta o la zona diversa o chissà cos’altro gli passava in testa, sentì le braccia cadergli ai fianchi, penna e blocchetto mettergli sforzo: s’erano fatti pesanti e spesso li sentiva così, verso la fine dell’orario, ma stavolta era un’altra cosa. Andò alla macchina per posarli richiuse la portiera guardò ancora l’entrata del parco. Più passava il tempo, più gli sembrava di sentirsi libero e incosciente come da creatura.
Fermarsi dieci minuti faceva lo stesso si lasciò andare. Mise piede nel verde, c’erano platani cipressi pini abbozzi di siepi e cespugli, buttò l’occhio a un sentiero di brecciolino, dava in salita e ci camminò, ai lati c’erano macchie di fiori gialli. Continuò a camminare e uscì su una strada che non conosceva, c’era, dietro un muro di recinzione con delle ringhiere sopra, una casa che era una reggia. Si impennavano alberi da signori piantati su aiuole, sulla parte più esterna un terrazzato di pietra largo si piegava a mezzo come un semicerchio. Provò soggezione da non fermarsi a capire chi ci abitava, ci fosse stato da letturare era tutto in macchina, e sorpassò a testa bassa. Ma quando pareva finita, e camminò un pezzetto, fu colpito subito dopo da un largo spiazzo che affacciava su uno sterrato bianco, ci si infilò d’istinto, e camminò. Gli parve c’era già stato, qualche metro di bianco e scorse quattro cristiani.
Erano vecchi, due coppie di campagnoli vestiti come cinquant’anni fa, sorrisero salutarono non chiesero niente e ricambiò. Più avanti un tizio di mezz’età, con indosso una cintura di quelle che non vedeva non si sa da quando, guidava a passo d’uomo un carretto d’epoca motorizzato che trasportava legna e pure un ragazzino di sett’ott’anni con una cannotta a righette colorate che pareva lui da bambino. Polli conigli capre razzolavano liberi e lui camminava vedeva orticelli, uomini e donne li lavoravano lo salutavano. Scorse un prato e ci camminava, c’era solo il prato e poi il prato e poi il prato.
“Ti sono mancata?” gridava forte una voce che aveva già sentito in vita sua, ma non la riconosceva.
“Ti sono mancata?” senti gridare ancora, ma non la riconosceva e non vedeva nessuno. “Ti sono mancata?” la voce diceva ancora. Si guardò attorno e si accorse che s’era fatta una nebbia, non si vedeva più niente, allungò le braccia per orientarsi ma se non vedeva nulla e non sapeva dov’era, a che serviva? “Ti sono mancata?” la voce insisteva ancora, ma lui non sapeva chi era. Si fermò dov’era, fissò la foschia e gridò, come uno che ha capito, “Il nome, il nome! Il mio…”. Non se lo ricordava più.