L’abbraccio di Wojtyla
Nell’ampio spazio, messo a disposizione per il passaggio di Papa Giovanni Paolo II, le persone sono sotto il sole, affollano ogni area del piazzale. Attendono in maniera composta. Alcuni indossano magliette gialle uguali. Tante mamme hanno tra le braccia i loro piccoli. Poi gli anziani, la maggior parte dei quali con cappellini e ombrelli per ripararsi dalla calura. Un varco centrale è libero.
Tutti assiepati ad attendere Papa Wojtyla. Improvvisamente in lontananza si inizia a notare un uomo con una veste bianca accerchiato da uomini e sacerdoti. Si avvicina sempre di più e sorride. Procede a piedi, lentamente. E dona benedizioni. Prende in braccio i bambini. Si lascia fotografare. I fedeli applaudono e a gran voce lo chiamano e lo acclamano. Io sono lì. E sento il cuore che batte forte e le gambe che tremano. Lui è sempre più vicino a me, che ho accanto mia madre e mia nonna.
Mi avvicino e lo stringo in un abbraccio lunghissimo. Nessuno ci ferma. I miei occhi sono pieni di lacrime e la mia bocca non riesce a muoversi, bloccata da un sorriso pieno. Lui inizia a volteggiare e io con lui. Intorno tutto è sole e luce. La sua veste è fresca e la dolcezza del suo volto riempie generosamente il mio animo. Un girotondo così lungo e sempre più veloce, che sembra di non toccare più terra. Il suo viso è rotondo e liscio e i lineamenti sono morbidi.
Gli occhi che paiono comunicare la fede più intensa e sereni e rassicuranti pensieri. Ma non ci diciamo nulla. Io continuo a sorridere e a stringerlo forte. Lui mi tiene le braccia e inclina appena la testa sul suo lato destro. Poi all’improvviso ho aperto gli occhi. Qualche timido raggio di sole ha attraversato la finestra e mi ha svegliato. Mi alzo e mi guardo intorno.
È stato un sogno. Solo un sogno! Ma l’abbraccio di Papa Giovanni Paolo II non si è affievolito nel ricordo di quegli istanti immaginati. È vivo.