La voce del rimorso
In passato ho viaggiato molto. Ero sempre in giro (cosa cercavo?). Nel corso di questo mio girovagare, capitai a ***. Vi giunsi che albeggiava. Il paese: poche casupole arroccate sui fianchi di una collina, era ancora immerso nel silenzio. Arrivai presso una fontana. L’acqua scorreva invitante dal rubinetto e mi fece venir sete. Accostai le labbra sotto il getto gelido e bevvi avidamente. Solo dopo mi accorsi dell’uomo che mi osservava. Forse aveva sete anche lui, e stava aspettando il suo turno. Disse, difatti, “Ha finito?” con un tono talmente gentile che mi apparve arrogante. Desiderai che se ne andasse e senza rispondere mi attaccai di nuovo al rubinetto, anche se ormai la mia sete l’avevo soddisfatta, ma l’individuo non se ne andava. Attendeva pazientemente senza importunarmi. La vasca dove si abbeveravano gli animali era colma d’acqua, e l’uomo si mise ad agitarla, divertendosi a vedere le foglie che nuotavano sulla superficie navigare come barchette al moto ondoso provocato dalla sua mano. Quel gioco innocente mi esasperò del tutto. Insomma, persi la pazienza. Una grossa pietra era appoggiata ai bordi della fontana. Il diavolo, forse, l’aveva messa lì, così a portata di mano? La afferrai e colpii l’uomo alla testa. Fui così veloce che non dovette nemmeno rendersi conto di quello che stavo per fare. Lo udii che diceva con un filo di voce “Ahi, mamma mia!”, e stramazzò nel fango formato dall’acqua che traboccava.
Avrei potuto lasciarlo lì e fuggire via lontano, ma il diavolo, ormai, si era impossessato di me. Non senza fatica, sollevai il cadavere e lo gettai nell’acqua limpida del lavatoio. Sciacquai la pietra sotto il rubinetto fino a farla tornare pulita e senza traccia di sangue e la riposi dov’era prima. All’improvviso, in una casa poco discosta dal luogo dove mi trovavo, un bimbo scoppiò a piangere e una voce di donna prese a intonare una ninna-nanna:
Dormi tesoro mio, dormi piccino,
vicino alla fontana c’è l’assassino,
dentro l’acqua c’è il morto, nero nero,
dormi, bambino mio, senza pensiero.
Trasalii come se fossi stato scoperto e fuggii via con tutte le mie forze. Nessuno mi vide, nessuno m’inseguì, nessuno parlò del morto ammazzato a ***. Ad ogni modo, non vi rimisi più piede. Mi ritenni stranamente fortunato per averla fatta franca, temevo, tuttavia, che se fossi rimasto nella cittadina dove ero nato e vissuto, avrei rischiato di tradirmi e di essere smascherato, perché mi conoscevano tutti. Così ho cambiato lavoro e residenza e mi sono stabilito a ***, importante capitale economica e industriale, dove non sono altro che un anonimo sconosciuto. Sommerso dai mille impegni e dalle cento attrattive della metropoli, ho pensato sempre meno al mio delitto, al punto che ero quasi riuscito a ricacciarlo nell’inconscio. Sennonché, da qualche tempo, mi è accaduto sempre più spesso di ripensare a quelle poche casupole arroccate sui fianchi della collina, immerse nel silenzio; rivedevo nell’acqua limpida del lavatoio il cadavere di quello sconosciuto e mi prendeva uno strano, inspiegabile desiderio di tornare lì. Sembrava che una voce mi chiamasse irresistibilmente.
Non resistendo più, oggi mi sono finalmente deciso a tornare sul luogo del delitto, come ogni buon assassino che si rispetti. Ho programmato il viaggio in modo da arrivare all’alba, come l’altra volta.
Anche se della mia prima visita non posso dire di ricordare granché, per esserci restato pochissimo, le casupole arroccate sul fianco della collina mi appaiono invecchiate: le pietre a vista invase dal muschio, corrose e annerite dalle intemperie. Anch’io sto diventando vecchio, penso tristemente. Il lavatoio maledetto è ancora lì, e per giunta non sembra aver risentito dell’ingiuria del tempo, come le case sulla collina. Il mio gesto omicida lo preserva in uno spazio senza tempo, come una condanna o una spada di Damocle sospesa sul mio capo?
Perché tremo mentre mi avvicino alla fontana? Cosa mi succede? Per prendere coraggio sto per mettermi a fischiettare un motivetto allegro, quando noto che nell’acqua del lavatoio s’intravvede qualcosa di scuro. Mi sento svenire, ma mi faccio forza e guardo meglio. È un vecchio cappotto sgualcito. Si è impigliato a qualcosa sul fondo ed è rimasto lì, dimenticato. Piano piano il mio cuore smette di battere all’impazzata e il mio respiro si fa meno affannoso; fra un po’ me ne andrò via di qui come sono venuto, e stavolta non porterò con me ricordi o rimorsi. In quel momento nel pollaio di una casa lì vicino sento un gallo cantare. Un bimbo scoppia a piangere e una voce di donna prende a intonare una ninna nanna:
Dormi tesoro mio, dormi piccino,
vicino alla fontana c’è l’assassino,
dentro l’acqua c’è il morto, nero nero,
dormi, bambino mio, senza pensiero.