La paura del silenzio
Ernesto si rese conto di essersi addormentato. Si stropicciò gli occhi, tese il corpo in uno sbadiglio e si mise in ascolto. Non sentì nulla. Si chiese per quanto tempo avesse dormito, dall’esterno proveniva ancora luce quindi, si disse, non poteva aver dormito così a lungo. Non sentì nessun rumore, nemmeno il frinire delle cicale. Solo il caldo era intenso, torrido, sembrava di attraversarlo ad ogni movimento. Decise di alzarsi e di aprire le imposte. Si stupì di essere solo in casa. Non ricordava che sua moglie fosse uscita e nemmeno i suoi figli. Si sentì come se avesse ricevuto una botta in testa. Il silenzio che lo circondava gli sembrò innaturale, sentì caldo. Si sentì schiacciato dal caldo, gravato da un peso insopportabile. Uscì sul terrazzo e si accorse che era quasi il tramonto.
Aveva dormito per l’intero pomeriggio. Scrutò l’orizzonte, non c’era nessuno. Nemmeno i gatti sgattaiolavano in strada, nemmeno le mosche volavano. Non c’era nessuno. Provò una sensazione di sgomento, come se fosse successo qualcosa, rientrò in casa, prese il telefono e chiamò sua moglie. Il telefono squillò a vuoto. Fece lo stesso con i figli. Nessuno rispose. Fu scosso da un tremito. Provò un senso di angoscia e si disse che doveva essere successo qualcosa. Chiamò i suoi suoceri ma avevano il telefono staccato. Iniziò a grondare sudore. Si rivestì e in tutta fretta uscì in strada. Prese a camminare senza una meta precisa. Sentì la paura assaltarlo alla gola. Il cuore inziò a battergli all’impazzata nel petto. Si fermò per riprendere fiato. Si accorse che le gambe gli tremavano e che la bocca era sempre più impastata. Non c’era nessuno.
Le serrande chiuse, nessun rumore. Allora, pensò che stesse sognando. Sorrise, anzi rise, dicendosi che quello era solo un sogno e si avviò di nuovo verso casa. Inciampò in una lattina e si fece male. Il dolore che provò gli sembrò troppo reale per essere una proiezione onirica. Si abbassò per toccare l’oggetto di metallo e pensò che se fosse stato un sogno sarebbe stato eccessivamente realistico. Gli venne voglia di piangere. Cadde in ginocchio accanto alla lattina vuota e sporca e desiderò gridare. Non lo fece, ma sentì un grido. Un boato proruppe nell’aria torrida della serata estiva. Una sirena in lontananza e il grido che riecheggiava da mille bocche in ogni angolo. Si sentì circondato, si sollevò da terra e corse. Il più veloce possibile.
Sentì il fiato corto, il cuore esplodergli nel petto, ma continuò a correre diretto a casa. Mentre aprì il cancello del cortile, sentì un nuovo urlo. Un grido pronunciato all’unisono e riconobbe le sillabe pronunciate: “gooooaaaaal”. Sì non si era sbagliato, ne fu certo, tutte quelle voci in una gridavano “goal”. Entrò in casa, accese la tv e si rese conto che era soltanto la giornata delle semifinali del mondiale di calcio. Si tranquillizzò, si accese una sigaretta e si riaddormentò disteso sul divano sotto il portico.