La memoria di Gemma
di Paola Lombardi
Scontrini, fatture, biglietti dell’autobus, ticket emessi dal parcometro, cartoline pubblicitarie. Tutte cose insignificanti. Interi faldoni di oggetti inutili. Tracce futili consegnate alla memoria.
Nella vita di Gemma i diari non bastano. “Le parole sono bugiarde”, ripete sempre, a se stessa, al caffè che sorseggia al bar, alle auto parcheggiate in divieto di sosta. Il tovagliolo con l’impronta del suo rossetto diventa un indizio prezioso che depone da qualche parte nella borsa.
Oggetti, immagini, tracce minuziose che servono a ricordare. A ricordare che tutto questo esiste, è esistito da qualche parte in una qualche vita che Gemma ha vissuto e che stenta a riconoscere.
La mente di Gemma si spoglia ogni giorno, la sua memoria è labile, come foglie morte in autunno. I ricordi volano via. “Arriverà il giorno in cui non ricorderò il mio nome”, sussurra stringendo il fazzoletto bianco della speranza. La mente si svuota, una malattia silenziosa sgombera le cantine, libera gli archivi, c’è sempre aria di novità nella sua testa leggera. Leggera come le sue gambe, sottile come la sua vita, gioiosa come il suo sorriso. Gemma è troppo giovane per dimenticare, per avere voglia di dimenticare. Raccoglie pezzi di stoffa, bottoni smarriti, frammenti di conversazioni. “Sì, io esisto, sono esistita in tanti altri oggi”, recita come una bambina davanti allo specchio.
Ogni giorno è un’avventura nuova. “Chissà dove abiterò?” e si immagina come Arianna che non dona nessun filo a nessuno, ma lo dipana per sé. “Io mi chiamo Arianna” e porge la mano all’autista dell’autobus e con voce solenne gli dice: “Mi porti dove desidera. Ho voglia di vedere cose nuove” e come solo una signora sa fare ride pensando a dove conservare il biglietto del pullman. Si siede e viaggia in una città che le appare sconosciuta.