La foto
Estela era una bella bambina, aveva due genitori che l’amavano e la riempivano di regali; viveva in una grande casa. Anche la scuola che frequentava era grande, con un giardino spazioso, un parco giochi e le maestre attente e un po’ severe.
Anche se non abitava lontano, andava e tornava dalla scuola sempre in macchina: al mattino quella di suo padre guidata dall’attendente; all’uscita era quasi sempre sua madre che l’andava a prendere. Aveva tante amiche con cui organizzava merende e picnic nei giardini delle loro case eleganti.
Da qualche tempo Estela aveva notato che davanti alla scuola c’era sempre una signora con i capelli grigi, diversa dalle mamme e dalle nonne che accompagnavano le figlie e le nipoti, anche se non capiva perché. E poi non accompagnava né andava a prendere nessuno. La signora stava lì e la guardava, sempre e solo lei. Non le faceva paura, no, aveva l’aria gentile e qualche volta le sorrideva.
Un giorno, mentre andava incontro a sua madre, la donna le sfiorò una mano e le disse: “Hai gli occhi di tua madre”. Certo si era proprio sbagliata, lei aveva gli occhi verdi e sua madre li aveva neri. Ma non disse niente, a nessuno.
Un altro giorno la signora misteriosa le mise in mano una piccola foto. “È solo per te, è un segreto, non devi mostrarla a nessuno”. E Estela così fece, la tenne per sé, non la mostrava a nessuno. L’aveva nascosta fra le pagine di un libro di quand’era piccola e che ormai non leggeva più e quand’era sola, nella sua cameretta, la tirava fuori e la guardava a lungo. Era il ritratto di una ragazza con i riccioli neri un po’ spettinati e gli occhi verdi che sorridevano. Le piaceva quel viso, quel sorriso. Si sentiva bene a guardarli, anche se un po l’inquietava e non capiva perché.
Ogni tanto, negli ultimi tempi, capitava che la signora venisse con altre amiche. Si fermavano davanti alla scuola, la guardavano, guardavano la madre, parlavano fra loro. Per un po’ non le vide più ma un pomeriggio, tornando da una merenda in casa di un’amica, le incontrò in salotto che parlavano con sua madre. E sua madre aveva le lacrime agli occhi e anche la signora con i capelli grigi piangeva. Avrebbe voluto abbracciare la mamma ma Clarita, la cameriera, l’accompagnò nella sua stanza. La sera sentì sua madre e suo padre che discutevano: la mamma piangeva e suo padre gridava.
Non capiva perché nessuno l’accompagnasse più a scuola, perché restava tutto il giorno a casa, perché non andasse più dalle amiche e nessuna di loro venisse più a giocare con lei.
Sentiva che la sua vita stava cambiando, e ancora non sapeva come. Allora si metteva a guardare la foto della ragazza, la stringeva fra le mani come un oggetto magico, e sapeva che in quel sorriso, in quegli occhi verdi avrebbe trovato la risposta.
In Argentina, fra il 1976 e il 1983, durante la dittatura militare di cui furono vittima circa 30.000 persone, per lo più ragazzi e ragazze, vennero anche sequestrati, nascosti, privati della loro identità tramite adozioni illegali i figli dei desaparecidos, partoriti in carcere. L’azione e la ricerca costanti delle Madres e delle Abuelas, madri e nonne, di Plaza de Mayo ne hanno permesso fino ad oggi il ritrovamento di 121 su 500.
A questi eventi si ispira liberamente il mio racconto.