La bambina che lanciava coriandoli

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Nora non voleva farsi vedere mentre lanciava i coriandoli. Si guardava intorno impaurita, tratteneva il respiro finché poteva e poi ricominciava. I coriandoli in una tasca, le stelle filanti nell’altra.

La città e i centri commerciali pullulano di bambini festanti. Ogni angolo è imbrattato. Il Carnevale è un giorno senza fretta. È una festa di colori, è un giorno pieno di scherzi, è Carnevale. C’è nell’aria il profumo di fritto, si sente l’odore di frappe. Ci sono feste che fin da piccoli ti entrano nel cuore e lì restano.

Per questo forse Carnevale è anche la festa degli adulti, o meglio degli adulti che vogliono restare bambini. La realizzazione dei costumi, le sfilate del martedì grasso con gli amici. La bellezza dei pomeriggi passati a mascherarsi e il desiderio di essere per qualche ora qualcun’altro. «Da cosa ci vestiamo quest’anno?», dicevano i bambini a scuola le settimane precedenti alla festa. «In alto i calici e buon Carnevale a tutti!», si sente il brindisi del buontempone di turno.

Nora lanciava coriandoli e di nuovo si guardava intorno impaurita. «Non essere timida Nora, sii serena!», la rincuorava l’amica, «È normale lanciare i coriandoli in aria a Carnevale».
«Certo che è normale», rispondeva Nora con un velo di malinconia, «meno normale è farlo a settant’anni. Che dici?». Nora lanciava i coriandoli come se avesse un conto in sospeso con il passato. Pensava che per lei non era mai stato tempo di lanciarli. Prima era troppo povera per farlo, ora troppo vecchia.

Peccato però, le sarebbe bastato poco per vivere felice. Nora aveva gli occhi resi lucidi dal ricordo. Qualche bimbo più piccolo la scambiava per una maschera senza indovinare quale maschera fosse, qualcuno più grande si ritraeva impaurito da quel volto deturpato dal tempo.

È la mattina di Carnevale, è ora di svegliarsi. Come tutti i carnevali di lì a poco sarebbe andata a scuola e avrebbe giocato con le sue amiche. Solo a scuola però, perché poi loro, le amiche, avrebbero proseguito i festeggiamenti nel pomeriggio e lei sarebbe andata ad aiutare la mamma e il papà nei lavori di campagna. Era abituata ad ingoiare il rospo, lei cresceva rassegnata e senza Carnevale.

Una volta, con il cuore in gola, aveva chiesto il permesso al suo papà di poter partecipare ricevendo in cambio uno sguardo sprezzante che le si era conficcato nel cuore come una lama. Non c’era posto per quelli come lei nel grande carro del Carnevale. Nora indossava stracci rattoppati e rimediati in giro, vestiti dismessi da altre bambine. Il suo viso era coperto da un paio di centimetri di sporco, come intonaco. Nei punti in cui si era staccato si intravedeva il viso gentile e roseo di una bella e dolce bambina già segnata dal destino.

L’amica del cuore passò a prenderla dopo pranzo. Il loro accordo prevedeva una lunga sosta al centro commerciale, come da qualche anno a questa parte. Ma Nora non rispondeva, e così l’amica entrò nella catapecchia. La trovò con la testa reclinata in avanti e il gattino che le dormiva in grembo. La televisione trasmetteva le immagini del Carnevale. Era morta Nora. Si levò un vento forte e nell’aria volteggiò una miriade di coriandoli. Di lì a poco se ne sarebbe andato un altro Carnevale portandosi per sempre con sé Nora e i suoi coriandoli in una tasca e le stelle filanti nell’altra.

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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