Il progetto buono
I ragazzi avevano accolto l’iniziativa come se fosse una punizione. E sotto certi aspetti lo era veramente. Una vita sedentaria la loro: giornate suddivise tra compiti, televisione, chat, playstation e merendine. Un progetto per combattere l’obesità giovanile, era questa l’idea del sindaco. Il primo cittadino, incassato il sì del preside prima e quello dei genitori poi, gongolava. In un colpo solo avrebbe salvaguardato la salute dei suoi giovani concittadini e contributo alla riduzione dell’inquinamento gettando, al contempo, le basi per una meritata rielezione. I ragazzi erano in subbuglio, avrebbero dovuto farsi a piedi l’intero tragitto, andata e ritorno, da casa a scuola. Un torpedone festante nelle giornate assolate e con gli ombrelli quando anche la pioggia si sarebbe trasformata in emozione. Solo nel caso in cui si fosse scatenato il finimondo, evento mai verificatosi nella tranquilla cittadina, avrebbero potuto prendere la corriera che, nel frattempo, faceva la sua consueta corsa per la comodità di qualche passeggero più anziano. Intanto, tra proteste e mugugni, i ragazzi dimostrarono che dentro la loro grande stazza alloggiava un grande cuore. Riscuotevano la paghetta settimanale e, mossi a compassione, decisero di sacrificarla organizzando una colletta per il loro coetaneo egiziano, appena arrivato in città. Il suo papà non aveva nemmeno l’auto ma di lì poco, così diceva lui, avrebbe aperto un piccolo negozio di un’imprecisata attività. Intanto “Il progetto buono”, così denominato, partì, e pure i ragazzi. Partirono a piedi, dritti verso la scuola, il primo lunedì di ottobre, in una giornata più vicina all’estate che all’autunno. Il luccichio dei variopinti zaini si armonizzò al vociare festante dei novelli salutisti.
All’inizio del nuovo anno alcuni genitori notarono un anomalo cambiamento nei propri figli. Invece di dimagrire, i ragazzi erano ingrassati. Fu indetta una riunione d’urgenza a cui parteciparono professori, preside, genitori e il bidello che aveva le chiavi della scuola. Ma come avevano fatti i ragazzi ad ingrassare se andavano a piedi? Il bidello, che sospettava qualcosa, provò a dire la sua, ma fu freddato dallo sguardo truce del vicepreside: tra i genitori ce n’era qualcuno che lavorava nelle forze dell’ordine, figuriamoci se non sarebbe stato svelato il mistero. Fu deciso, così, che i ragazzi sarebbero stati pedinati, a turno. Finita la riunione il bidello chiuse la scuola, si mise in macchina e partì in direzione di casa. All’incrocio gli sfrecciò davanti un macchinone scuro che non riconobbe. Riconobbe, invece, il bambino seduto al lato del conducente e il suo papà alla guida. Il vicepreside non lo aveva fatto parlare, peggio per lui… Il suo sorriso carico di soddisfazione illuminò l’abitacolo della sua utilitaria.
“Corbezzoli!”, disse soltanto “Ma quanti kebab ha dovuto vendere l’egiziano ai ragazzi per comprarsi una macchina del genere?”