Il prete ribelle
“Don Lucio”, disse il vicario “domenica cinquemila persone gremiranno la cattedrale. Ci saranno tutte le autorità, la stampa, qualche gruppo musicale di livello e le televisioni. Faremo pure una piccola processione con la Madonna… Mi raccomando, il vescovo ci vuole tutti presenti. E cambiati quella tonaca sudicia che porti da una vita…” Don Lucio fu l’ultimo ad arrivare, appena in tempo per l’inizio della funzione.
“Adesso”, disse il vicario “Don Lucio farà il suo piccolo intervento. Magari si ispirerà ai dieci comandamenti, solo qualche accenno. Don Lucio cominciò a sudare, dopo i suoi colleghi ora toccava a lui dire qualcosa. Era nelle intenzioni del vicario riservargli un argomento relativamente facile.
“Non me li ricordo, cioè non me li ricordo in fila… è passato tanto tempo dall’ultima volta che li ho ripetuti… scusatemi, forse dovrei rimettermi a studiare”. Don Lucio incespicava nel parlare, il vicario si passò le mani in faccia, il vescovo era senza parole. I fedeli trattenevano a stento il sorriso, magari il buonumore era la medicina giusta per cominciare. Ma non era una battuta, Don Lucio non sapeva mentire. Il vescovo non la prese bene, un prete che non sa i dieci comandamenti non sta né in cielo né in terra.
Finalmente la funzione ebbe termine, per il sollievo del vescovo, del vicario, dei fedeli e, soprattutto, di Don Lucio che riprese possesso della sua vecchia 500. Passò prima dal benzinaio di fiducia e mise dieci euro di benzina che lasciò a debito. Poi prese la strada per la campagna, in direzione del suo paese. Non appena ebbe imboccato lo sterrato bucò una ruota.
La barra filettata del cric era arrugginita, non girava. Passarono dei ragazzi, suoi compaesani. Si fermarono e lo aiutarono. Cioè, più che aiutarlo fecero tutto loro.
“Perché non venite a messa la domenica ragazzi?” disse Don Lucio che vedeva oltre l’apparenza. “A fare cosa? E poi la domenica dormiamo, è che rientriamo tardi dalla discoteca. Però sei una gran brava persona, magari tutti i preti fossero come te!”.
“Ragazzi, si è fatto tardi”, disse Don Lucio cercando di nascondere la commozione “Volete portare questo latte ad Antonietta? Ha il bimbo piccolo, a quest’ora avrà fame…” Poi, mentre i ragazzi accettavano l’incarico, diede loro anche quel po’ di pane che aveva preso all’alimentari: la mamma non può mica guardare il piccolo che mangia. Pazienza, non era la prima volta che saltava il pranzo o la cena. Cominciò, però, a pensare che le ostie ingrassassero perché altrimenti non si spiegava la sua pancia.
Il poveretto, che aveva perso il lavoro, piangeva perché se non pagava la bolletta gli toglievano l’acqua. Don Lucio svuotò le casse della Parrocchia, mancava qualche euro che contava di recuperare nella questua della domenica successiva, beninteso che le quattro vecchiette che non mancavano mai si mostrassero generose. La messa cominciò in ritardo, Don Lucio aveva aiutato una famiglia del paese a raccogliere la legna. Intanto la sua tonaca si faceva sempre più sudicia. Il vicario lo convocò la settimana successiva per informarlo che con i suoi modi poco ortodossi stava mettendo in difficoltà tutta l’organizzazione. Don Lucio, sebbene non capisse, promise di stare attento per il futuro.
Quella domenica l’organista aveva iniziato il canto d’introduzione per i soliti pochi presenti. Don Lucio, assorto nei suoi pensieri, alzò lo sguardo verso il fondo i vide i suoi ragazzi, una ventina in tutto, entrare uno alla volta e prendere posto. Interruppe la messa, andò in sacrestia per non farsi vedere e pianse a dirotto. Si asciugò e ordinò al sacrestano di suonare a festa le campane per tutta la durata della funzione. Nella gioia e senza la pressione di cinquemila persone, volle provare a ricordare i dieci comandamenti. Non ci riuscì nemmeno nell’occasione. Ricordò bene l’undicesimo, però: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”.