Il nome di Karel

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di Paola Lombardi

“Spostati”, “levati”, certe volte penso che sia questo il mio nome. Magari anche “pussa via” oppure “sciò”. Io lo so che non è così.

Io lo conosco il mio nome. Mia madre mi chiamava Karel quando era di buon umore, se era arrabbiata, invece, mi strillava “deficiente”.

Sono andato avanti così per tanti anni tra chi mi chiamava deficiente e chi mi chiamava Karel e basta. Ma io ho sempre saputo di chiamarmi “Karel il deficiente“.

Ho vagato per tanto tempo. Ho camminato da una città all’altra. Ho vissuto tante stagioni e ascoltato tante lingue. Tutte straniere, tutte sconosciute, tutte troppo rumorose. Io, tra me e me, ho sempre parlato la mia di lingua, quella del dialetto della mia vallata. Sapeste com’era bella! Soprattutto in inverno quando cade la neve.

Perché me ne sono andato? Perché non mi andava più di farmi chiamare Karel il deficiente. Volevo un altro nome. Ho vagato tanto, ma un altro nome non ce l’ho. Adesso di nome non ne ho nessuno. Ho solo gli insulti, in tutte le lingue del mondo.

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