Il centro anziani

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È piccolo il mio paese.

Adesso lo so, ma quando ero bambino mi sembrava grande. Ha lo stretto necessario, poche cose facili da conservare nitide e indelebili nel grande libro della memoria.

La mia prima scuola era arancione, ma erano tutte dello stesso colore, appurai poi negli anni. Si trovava di fronte alla chiesa e aveva una bandiera italiana che ci accoglieva ogni mattina. Io ci andavo a piedi, con il maestro che prelevava casa per casa anche gli altri miei compagni che abitavano lungo le strade delle nostre contrade. E quando arrivavamo a destinazione si era formato un piccolo torpedone. Tutto piccolo, come dicevo, ma non per questo meno bello. In primavera il maestro apriva le finestre e noi sentivamo le pecore che passavano lungo la strada, il muggito delle mucche libere su in montagna e il suono della motosega. A volte si espandevano nell’aria l’odore del sugo buono che proveniva dalle case vicine e il vociare dei soldati che scendevano dai camion davanti alla chiesa, per poi inerpicarsi lungo le nostre stradine in direzione del poligono di tiro.

Ora al posto della scuola c’è il centro anziani e io sento le voci dei miei nonni e dei tanti vecchietti che sono passati nella mia vita come un refolo di vento. Tempi che cambiano.

A volte lo Stato appare inefficiente, ma in questo caso ha fatto centro, centro anziani per la precisione. E nel ricordo di chi ci ha preceduto e ha dato il via a questa bella avventura troviamo il coraggio di ammettere che anche nelle nostre diversità ci vogliamo più bene di quanto riusciamo a dirci. Io, per esempio quasi mai sono presente fisicamente, ma con il pensiero sempre. Sapere che ci sono persone a condividere la propria giornata è per me motivo di conforto. Preferisco un po’ di baccano al silenzio che mi toglie ogni speranza.

C’è chi gioca a carte e a volte si sente strillare, ma funziona così, non sei tu a sbagliare è il tuo compagno che non sa giocare. Poi tutto torna alla normalità e cerchi di nuovo il tuo compagno che forse è bravo almeno quanto te. Serate memorabili, ogni occasione è buona. Chi cucina, chi suona, chi balla. Le signore indossano pure la maglietta con scritto Staff. Si girano gli spaghetti, si mischiano i sorrisi con gli sfottò che ci rendono più umani. C’è un tempo che scorre, in compagnia, con nostalgia e senza rancore. C’è la eco dei miei nonni e quello degli amici di infanzia. Un giorno non troppo lontano sarò anch’io anziano e quello sarà un giorno bello poiché significa che avrò vissuto e la qualità della vita mia e di chi mi circonda dipenderà anche da ciò che avrò saputo vivere e raccontare. Faccio fatica a tradurre ciò che il cuore dice, non è mai facile ringraziare a dovere il proprio paese, ma in questo siamo tutti uguali, tutti importanti. “Non ti ama chi amor ti dice ma chi ti guarda e tace”. E questo non l’ho detto io ma qualcuno molto più famoso di me. Mi consola, ha ragione lui.

Il sole bacia i belli, ma a volte fa delle eccezioni. Lo sento caldo e luminoso in fronte mentre procedo lento lungo la discesa verso casa mia. Sempre caro e familiare mi è questo vociare che ha la promessa mantenuta di mescolare bimbi e adulti. È bello il paese mio e anche il centro lo è. L’aperitivo, la scusa per un breve saluto. Per un attimo mi sento forestiero ma vi appartengo perché voi appartenete a me. Passa ancora qualche pecora, si sentono pure le mucche dalla montagna e alla motosega è bastato sostituire la catena che continua a fare il suo dovere. Il tempo di riallacciare i fili della memoria, lo spazio di un sorriso e tutto torna come prima. Ognuno percorre il suo sentiero, ognuno vive le sue emozioni. Non sappiamo i nostri ragazzi quale strada percorreranno e come si comporteranno in prossimità degli incroci che la vita gli riserverà. Mi chiedo da dove possiamo ripartire noi, in un momento buio per l’umanità.

Da un bicchiere di vino o di birra, da un panino con il prosciutto o mortadella profumata, da un’alba o da un tramonto, dalla nebbia che si dirada, da una spaghettata e da un ballo, dalla storia e dalla tradizione, dalla semplicità dei nostri luoghi, dai ricordi dei nostri cuori, dalle nostre emozioni. Ripartiamo da ciò che siamo. Ripartiamo dal centro anziani.

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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