Il bisogno di restare, il desiderio di scappare
Capita, a volte, di svegliarti la mattina con nel cuore un’incontenibile voglia di penetrare l’esistenza. L’ultima volta è successo qualche giorno fa.
Mentre comincia ad albeggiare, un rumore di passi nel vicolo sottostante rompe il silenzio di un mattino conficcato già dentro mille punti di domande.
Una solitaria camminata che suona più rumorosa di una allegra nottata estiva e ti interroga inquieta.
Sarà allora la vocazione a trasformare immagini in parole, o semplicemente l’esigenza di provare ad attenuare domande con vani tentativi di riscontri, fatto sta che ti ritrovi di buon mattino a confrontarti con la tua anima, e la sua voglia di capire.
Così, nel silenzio che cancella il ricordo di un’estate briosa da poco trascorsa, avverti l’esigenza di annullare un’altra immagine: quella di un inverno che si appresta a sottomettere il tuo piccolo paesino del Sud, con la sua quotidianità ancora appesa ad un passato troppo spesso oltraggiato, e un futuro in perenne attesa di riscatti.
E in mezzo, tra passato e futuro, la tua realtà che rimane sospesa tra il bisogno di restare e il desiderio di fuggire.
È allora che ti viene il sospetto che se a svegliarti è stata l’eco della camminata nel vicolo silenzioso, a non farti riprendere sonno, invece, rimbomba forte il vuoto lasciato proprio da quei passi. Un vuoto pesante più del silenzio stesso. Perché il silenzio lo puoi scegliere. Il vuoto no. Il vuoto, quando c’è, puoi solo tentare di riempirlo. Anche quando a scavarlo è l’ansia di circostanze che ti appartengono, giacché sai che il paese stesso ti appartiene. Come gli appartieni tu, anche quando ti prende la voglia di scrollarti dalle scarpe la polvere di questa terra silenziosa e vuota.
E lì, proprio tra silenzio e vuoto, la tua vita che ti prega di partire, la tua ansia che ti chiede di restare e il tuo cuore che pretende di capire.
E tu, che in silenzio bisbigli ancora a te stesso i soliti versi di una poesia antica: “…Nessuno pensa o immagina che cosa sia per me/questa materna terra ch’io sorvolo/come un ignoto, come un traditore”.
Tu, che pure oggi, al sorgere di questo giorno nuovo, osservi silenzioso la tua anima in pena, e ti pare come sempre di vederla: quasi cane alla catena, che un poco tace, e un poco si dimena.
(I versi citati, sono della poesia “Passaggio notturno” di Vincenzo Cardarelli)