Il bambino che amava la pioggia
Nasir amava la pioggia. Forse perché nel paese in cui era nato e cresciuto le giornate erano afose e lui cercava qualcosa di diverso. Certo era che con la pioggia non sarebbe andato in piscina con i compagni, non avrebbe potuto giocare a tennis e a calcio. Sotto la pioggia non avrebbe corso libero e felice nei parchi. Sotto la pioggia non avrebbe potuto fare niente di niente, eppure lui amava la pioggia. Non era un bambino triste però, amava la pioggia perché sotto la pioggia si sentiva come gli altri, sotto la pioggia non c’era competizione. Ma amava anche le altre stagioni, perché Nasir amava la vita. A scuola gli era stato chiesto di descrivere il vento. E lui lo aveva descritto, a modo suo.
Il vento è lo spirito Santo.
Il vento non si vede, si sente.
Ti accarezza partendo dalla testa, poi passa sulle guance e entra nella camicia.
Il vento è un brivido, la certezza che ci sei anche tu.
Nasir amava il vento che non sradica, il sole che non scotta, la grandine che non brucia, la neve che non soffoca. Ma la pioggia è pioggia. La pioggia purifica, rigenera. Nasir prendeva l’ombrello e usciva di casa, e quando pioveva studiava in macchina.
Guardava la pioggia attraverso la finestra della cucina e con l’indice disegnava il percorso delle gocce d’acqua che scivolavano sul vetro. E intanto attendeva il suo papà che di lì a poco sarebbe rientrato dal lavoro. Sapeva di avere dei genitori speciali. Era stato adottato da piccolo, dopo che lo scoppio di una bomba gli aveva procurato ferite profonde. Rimasto vivo per miracolo, pensava ai suoi fratelli a cui il destino aveva riservato una sorte diversa. Quella guerra assurda, assurda come tutte le guerre, gli esperti la chiamavano “La primavera araba”. Ma lui aveva un ricordo diverso della primavera e con quel ricordo cercava di costruire il suo futuro. Non aveva l’obbligo di piacere per forza, né di dover competere, ciò glielo concedeva la sua storia. Per questo amava la pioggia, perché sotto la pioggia nessuno può fare niente e lui era come gli altri.
Nasir uscì fuori per andare incontro al suo papà e lo abbracciò nel momento in cui una folata di vento gli sollevò leggermente il lembo del pantalone. E così l’aria della sera rinfrescò la protesi che aveva sostituito la sua gamba destra, rimasta sotto le macerie di una primavera araba.