I differenzianti

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Nei cortili delle case italiane si aggirano esseri simili a fantasmi, ma… sono come noi. Anzi. Siamo noi. Con mani guantate, puoi vederli frugare, in sacchi o secchi di plastica, in cerca del sacro graal della corretta separazione degli scarti di consumo. La quotidianità delle merci a rapido impiego si svolge attraverso un rituale scontato che ne prevede acquisto, utilizzo e sbarazzamento delle susseguenti resta. Un tempo, questo epilogo era quanto mai sbrigativo, ma oggi, superiori interessi volti al bene della collettività, trasformano i cittadini in operatori di laboratori all’aperto che scriminano alacremente materiale da materiale con occhi iniettati di sangue, rimpiangendo l’epoca della busta, priva di incorporei buttafuori a interdire l’ingresso di chi non stesse a genio, annodata casualmente e fatta ruotare su un dito con nonchalance fino a darle la giusta virata per centrare il bersaglio del cassonetto.

Ora, vi è chi si dedica alla singolare faccenda di pulire i rifiuti, e dentro le famiglie più fortunate da avere spazio adeguato per differenziare all’istante, l’inserimento di un pezzo intruso nel recipiente di una data categoria può essere causa di piccoli drammi casalinghi che fanno da sfogo a cumulate tensioni a loro volta differenziate, mentre, tra i meno fortunati, qualcuno con un filo di nevrosi in più rispetto ai propri già provati simili si spinge a sperare che un giorno, ogni abitazione, venga connessa a un sistema di tubature pneumatiche con ingressi specifici per i diversi materiali, in grado di condurre gli scarti in appositi punti di raccolta. All’apice di questo vorticoso caravanserraglio, i furgoncini delle ditte preposte girano allegramente i quartieri e recuperano, numero civico per numero civico, quanto meticolosamente preparato dai singoli utenti, ma a volte, così, sempre per allegria, passano e non si fermano, prelevando a capriccio.

È un meraviglioso gioco di società che sconfina in quello di ruolo, una partita a scacchi in cui vige una norma non scritta ignota ai pedoni o presa per quel che è: una volta rientrati i mezzi in ditta, i prelevamenti vengono riversati nell’antico abbraccio di un unico grande vascone. Momento sublime, il concetto di immondizia ritrova senso. In epoche non troppo lontane, ai prigionieri di guerra veniva fatta scavare, finché c’era luce, una grande buca, poi giunta la sera gli veniva ordinato di ricoprirla, e così per giorni; si dice che una volta un prigioniero si fece coraggio e volle chiedere a un caporale perché li costringessero a un compito tanto inutile, oltre che sfiancante, al che gli fu risposto con naturalezza: “Per tenervi occupati, mi pare ovvio!”.

E adesso, mentre i rifiuti si contorcono nel loro lurido amplesso, un uomo vecchio e grasso, accompagnandosi a una vistosa bionda, sorseggia champagne in un ambiente lussuoso e ghigna, pensando agli introiti che si ammassano nel suo patrimonio come gli scarti nel vascone. Nel mentre, una figura fuori dal coro si aggira per l’Italia: è un altro uomo vecchio e grasso, dimessamente vestito, che passeggia tenendo su un dito una busta di plastica per i rifiuti indifferenziati, facendola ondeggiare come una borsetta. L‘idea di indifferenziazione è da costui portata all’estremo: non c’è materiale, plastico metallico cartaceo o vitreo, organico o inorganico, che non entri nel sacchetto, e ancheggiando lievemente con un’eleganza da bassifondi, il nostro figuro si avvicina a un raro superstite della decimata stirpe dei cassonetti-bazar.

Facendo compiere all’involucro immondo una serie di rotazioni sul dito, lo carica per la parabola che gli fa descrivere in un volo fugace, tuffandolo nel secchione. Con una smorfia compiaciuta, l’uomo volta le terga al contenitore e si dirige verso il luogo di partenza, soddisfatto. Di fronte al logorio scorante della vita moderna, possiamo certamente affermare che l’indifferenziante, in marcia indolente col capo alzato e il labbro serrato in una mostra di ostinata, noncurante superiorità, è un eroe del nostro tempo.

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