Guerino
Questo è uno dei tanti episodi, quello in cui ci siamo un po’ tutti. Vogliate in via del tutto eccezionale perdonarmi qualche inesattezza, così come l’utilizzo dei soprannomi che, a mio giudizio, sono una seconda pelle. È un ricordo che proposi tempo fa sotto una luce diversa, credo che oggi sia il momento giusto per meglio afferrarne il senso.
Ciao Zi Guerì,
i nostri occhi di ragazzi colgono ora la tua grandezza.
La partita delle partite: Sant’Antonino-San Michele.
Non so quanti di voi sanno che un’estate di tanti anni fa, allo stadio “Le Rafanelle” della Selvotta, si disputò una memorabile partita di calcio tra le giovani compagini di Sant’Antonino e San Michele.
Tutto fu curato alla perfezione e nulla fu lasciato al caso, a cominciare dalla scelta dell’arbitro. Per assicurare l’imparzialità in un derby così infuocato occorreva necessariamente un arbitro della Selvotta. Era la soluzione più logica, anche per coinvolgere gli amici di tutte le nostre contrade. Noi, per fare meglio, ne assoldammo addirittura due di arbitri. E che arbitri: Gianfranco detto Frank Zappa e Silvio Blocchett. Per noi ragazzi di San Michele era la prima partita al nuovo campo appena costruito, il nostro parco giochi era sempre stata la strada.
Arrivò il fatidico giorno.
Partimmo dal Tufo “a core de calle”, come si suole dire.
Guerino Nardone, il padre di Fausto, allenatore a furor di popolo.
Noi con maglietta bianca di cotone, pantaloncini blu, calze e scarpe da calcio fiammanti: uno squadrone.
Durante il tragitto, sebbene già tutti con la lingua di fuori, ripassammo la tattica:
- Antonio Pacioca, mio cugino, aveva il compito di spazzare l’area;
- Gino Banana non doveva far toccare palla al centravanti avversario;
- Ronaldo Capone detto Capacchione terzino destro;
- Io, Bruno Pappoccia, padrone della fascia sinistra;
- Sirio Cicione in costante pressing sui portatori di palla avversari;
- Fausto detto Patty Pravo centrocampista di sinistra;
- Erminio Pachiuchia doveva mangiarsi la fascia destra;
- Remo Trentatré unica punta, veloce, pronto a sfruttare il contropiede;
- Fabio Motosega portiere, “teneva parà pur la merda”, come si usa dire in gergo calcistico.
Attrezzati per vincere, pur volendo non sarebbe potuto andare diversamente. E comunque, male che andava, avremmo accolto ben volentieri anche un pareggio, ottimo risultato se ottenuto fuori casa e su un campo per noi inusuale. Giunti al campo le nostre sensazioni positive crebbero a dismisura allorquando scrutammo i nostri avversari che ci attendevano: Maurizio Campanieglie, Gianni Glie Cuarbeniere, Giancarlo e Dario Glie Fust, Fabiolino Metraglia buonanima e gli altri.
«Comme stanne accise!» ci sussurrammo. Chi senza scarpe, chi con i pantaloni lunghi, qualcuno un po’ più aggiustato; litigavano per come avrebbero dovuto disporsi in campo.
«E’ fatta!» commentammo tra sorrisi e cenni d’intesa.
Quando uno degli arbitri fischiò l’inizio della partita stavamo già a perdere. Non chiedetemi come si fa a perdere prima di iniziare perché non lo so nemmeno io. Fatto sta che saltò subito la nostra tattica e andammo in bambola: Antonio pensava che spazzare l’area significava ripulirla; Gino sta ancora cercando di capire chi è il centravanti del Sant’Antonino; Ronaldo era rimasto in Inghilterra; io la sera mi sono dovuto mettere un maglione per il freddo, visto che dalle mie parti erano passati tutti come il vento; Sirio credeva che per fare pressing bisognava strillare; Fausto da allora non ha giocato più a pallone; Erminio, l’unico ad aver un po’ rispettato il ruolo: non si è mangiato la fascia destra ma in compenso è stato una buona forchetta; Remo si allontanò un attimo per pisciare dietro le “rafanelle”, lo stiamo ancora aspettando. Fabio merita un commento a parte. Avrebbe dovuto parare pure la merda, semplice il suo compito. A metà primo tempo, Gianni, noto per il suo piede caldo, fa partire un tiro a volo secco e potente. Probabilmente aveva acciaccato qualcosa di strano in precedenza visto che da sotto la sua scarpa si staccò un miscuglio di fango e merda. E mentre la palla si dirisse come un missile verso le gaggie, la strana mistura si stampò diretta sulla faccia di Fabio. Quel giorno Fabio avrebbe dovuto parare pure la merda ma lui parò solo la merda.
Gianfranco e Silvio decretarono la fine del primo tempo. Lasciamo stare il risultato maturato fino a quel punto della partita, i conti si fanno sempre alla fine. Vi informo soltanto che i nostri avversari si permisero il lusso, davanti alla nostra porta, di litigare per chi avrebbe dovuta metterla dentro. Segnarono tutti e non una volta sola. Se non ricordo male qualche gol lo fece pure la buonanima di N’Gelina, distrattamente, mentre apriva il bar. Addirittura Giancarlo minacciò più volte di andarsene perché riteneva che i suoi compagni si divertivano e lui si stava annoiando in porta.
Inizio del secondo tempo, cinque minuti e il pallone mi sbatté sullo stinco destro infilandosi lentamente nella porta del Sant’Antonino. L’apoteosi. Mentre loro litigavano per stabilire di chi fosse la colpa, noi eravamo al settimo cielo. Fu un fuoco di paglia però. Ricominciarono a segnare, come prima, più di prima. «Mister, prova a mischià le carte» mi permisi di suggerire a Guerino. «Aee, ce facemme na partita a tressette» rispose lui. «Pruame a cagnà tattica» ribadii io. «Iecche l’unica tattica è de ce ne foglie alla casa a cavezune in mane prima de glie tiempe» sentenziò lui. La partita finì e gli arbitri, non so cosa avessero visto, ci dissero “bravi”.
Risultato finale: Sant’Antonino–San Michele 20-1
E mentre noi ci chiedevamo dove avevamo sbagliato, Guerino ripeteva come un disco incagliato: «E che Maronna è chessa. E che Maronna è chessa.E che Maronna è chessa».
Si era sparsa la voce della partita per San Michele ma pochi sapevano il risultato. La sera stessa sul Tufo, zi’ ‘Ndonio Sandella buonanima, mi chiese con tono secco:
«Sete vinciute?»
«Sem viste de vence, vinte a une zi’ Ndò.»
«Sti camiele».
Una vergogna. Mi avviai verso casa, deciso a non giocare più contro il Sant’Antonino. «Ma se avessero avuto divise, scarpe e allenatore quanti ce ne avrebbero fatto?» mi chiesi.
Sulla Gliva ‘Ncandata, mentre mi avviavo per la salitella di casa, incrociai Guerino che aveva dismesso i panni da allenatore. «Bonasera Zi’ Guerì», gli dissi abbassando la testa. «Ma qual bonasera, e che Maronna è chessa… Ma comme sete fatte? Mai vista na squadra cchiù accisa de vù.»