Gli ospiti
Due donne risalgono la strada, l’una dopo l’altra, come fosse una processione religiosa. La prima è più giovane, vestita alla moda, la seconda emana un sapore antico, è una donna grossa vestita di rosso e di nero. Entrambe hanno borse da ufficio in una mano e nell’altra stringono una busta di plastica con il pranzo. I piccioni continuano a dormire nascosti sull’intelaiatura delle finestre. Il quartiere è vivo, illuminato da un sole caldo che non sospetteresti. La luce è intensa. I rumori della piazza mescolano il tempo e confondono le voci. I richiami del mattino sono tutt’uno con l’aroma del caffè. Un caffè che esplode di profumi come fosse acqua di una fontana pubblica.
La città si veste di luce, danza per qualche minuto in attesa di riprendere la routine. Il mattino, prima che gli uffici aprano, ospita una gioiosa festa fatta di “buongiorno” ripetuti da un angolo all’altro. Gli odori del mercato, giù al porto, risalgono i vicoli, i ciottoli e si insinuano nelle strettoie tra i palazzi come fossero un richiamo pubblicitario. La città è viva con i suoi palazzi decorati da secoli, con la leggerezza che unisce il passato al presente, le macine del mulino di pietra sono fontane, i palazzi di vetro sono centri commerciali, il tempo ha segnato ogni angolo e le piazze ricordano che il mare è vicino. Sorseggiano il caffè centinaia di bocche che parlano decine di lingue diverse. Puoi dire “grazie” in tanti modi diversi e riceverai in risposta un sorriso, puoi parlare la tua lingua madre ed essere compreso, puoi tentare di esprimerti in altre lingue e la risposta sarà lo stesso un sorriso.
Siamo tutti in una terra straniera. In una terra che non appartiene, sospesa tra mille storie che avanzano a ritroso nei millenni. Non siamo che ospiti, di un giorno o di mille anni, non siamo che uomini ignoranti e ignorati, non siamo che passanti che torneranno a casa.