Fuori da ogni rotta
E’ mattino, il mare è una distesa di azzurro. Sembra una stoffa di lana pesante increspata da una macchina teatrale, sembra un palcoscenico per anime fittizie, e invece è un’isola dove la terra si confonde con il mare e sprofonda nel cielo. L’isola che è un mondo a parte. Come fosse impossibile darle un ruolo turistico. Non serve niente per trasformare questo posto in una vetrina con le sue scogliere inaccessibili, con le pareti di tufo tagliate di netto con la spiaggia marziana che si estende ai piedi del faro. Una distesa di tufo solidificato in forme illogiche.
Massi di terra erosa, resi lisci dal mare oppure ispide rocce che sembrano manipolate da minuscole gocce di pioggia invisibili. Il porto, piazza Castello, piazza Chiesa, sono questi gli unici esempi di toponomastica. Poi le strade non hanno più nome e sarebbe inutile nominarle perché le vie portano a casa di qualcuno, conducono in luoghi sicuri di cui è inutile dare indicazioni. Fino ad una porta d’Ercole naturale, inesplorata. E’ lì che la strada finisce e con la strada anche l’interesse perché lì non abita nessuno, nemmeno i romani, al tempo dei romani. Un’isola fedele alla sua storia che si trasforma in semantico anagramma isola-esule, diventando tutt’uno. Crasi del segno con la parola ‘esilio’, fuori da ogni rotta.
Il passato è ancora oggi impresso in qualche indizio che si scopre lontano dalle rotte dei passi quotidiani nel sapore del pane, dei tranci di pesci che vengono cucinati sulle braci ogni sera nei vicoli che si confondono l’uno nell’altro. In un intreccio di odori, di immagini e di sapori che disegnano un universo sconfinato che si allontana insieme alle lampade dei pescherecci che decorano di piccole luci il mare infinito immerso nel buio più fitto. L’isola conduce i visitatori per mano in angoli remoti del tempo e dello spirito all’interno di insenature di ozio e di egoismo alla ricerca di qualcosa di più profondo.