Franklin
Nella finestra di fronte Jole aveva trovato la sua pace formale, nulla a che vedere con la pacificazione del cuore; quella sarebbe arrivata qualche tempo più tardi, ma quella finestra e ciò che conteneva pacificavano i suoi occhi.
Quando poteva restava ore a fissarla cercando di capire come fosse possibile riprodurla. Ma quel giorno non aveva molto tempo e la coda di Franklin, che sbatteva sulle scatole vuote, le ricordava chiaramente che doveva riempirle.
Aspettò fino a quando oltre alla perfezione formale della sua visione si aggiunse la ciliegina sulla torta de “le ballet mécanique” che si animava per la strada che segnava la fine di una giornata lavorativa.
Amava il contrasto muto tra la stasi dietro la finestra e la confusione a pochi metri più giù.
- “Caro Franklin non hai anche tu la netta sensazione che delle forze esterne ci mandino la confusione la fuori solo per farci mettere ordine nel caos che ci portiamo dentro? ”
- “miao… miao”
- “seee ‘miao’ , mai che mi dessi una risposta adeguata… E adesso togliti da quella scatola che devo iniziare a fare ordine. Per adesso iniziamo dal fuori. ”
Jole abitava in quella casa, appartamento al terzo piano di un palazzo ai margini del centro città ma ancora non propriamente periferia, da qualche anno.
Da tutta la sua esistenza da anima singola si era data una regola: uscire da una casa quando questa inizia ad non appartenerti più.
E per capire quando era il momento aveva stilato una serie di regole partendo dal testo di una canzone a lei cara.
Continuava a recitarle, quelle parole, continuava a dirsi che “ …le voci di una casa non si imparano mai…” non che avesse paura di quelle quattro mura, ma sentiva un profondo rispetto per quello che l’ambiente manifestava.
Ovviamente aveva una scala di valori, non si può abbandonare una casa, cercarne una nuova senza averne una lista di priorità ben precisa per darci la motivazione a delocalizzare anima e corpo. Anche se questa aveva raggiunto il massimo dei punti della sua lista per andarne non le sembrava più facile delle precedenti.
In tutto erano state già cinque.
Le prime due volte era ancora bambina e si spostava con tutta la famiglia ovviamente le motivazioni della famiglia non le aveva mai apprezzate fino in fondo le piaceva darsene delle proprie, più fantasiose.
Crescendo però iniziò a costruire le sue motivazioni, probabilmente sentiva insopportabile l’idea di sentirsi nomade, e volta dopo volta si arricchivano di punti e irragionevoli spiegazioni; auto assoluzioni.
Ad un certo punto aveva capito che la casa reclama se stessa, la casa inizia a rivendicare i suoi spazi, non sa bene come faccia ma alla lunga accade e Jole se ne accorge.
E anche questo appartamento sul limitar del centro iniziava a sgranchirsi le ossa.
I segnali c’erano già tutti: il parquet cigolava vistosamente in molti punti della casa,
in alcune camere le luci non avevano più la stessa luminosità, gli orologi alle pareti raccontavano ore diverse e in fine i mobili o meglio i loro sportelli si stavano disallineano sempre di più.
Era consapevole che tutte queste cose rappresentano la naturale condizione di uno spazio vissuto, ma in cuor suo si diceva che la casa e l’inanimato che vi era dentro si stavano svegliando e non volevano più avere l’animato che l’abita attorno a se.
Era convinta che la casa non volesse più che le si passasse addosso, che stava scegliendo l’atmosfera in alcuni suoi ambienti, le ore diverse erano solo un modo per avere una presenza più duratura e i mobili, o meglio i loro sportelli, chiudevano le porte al dialogo.
E Jole rispettava questa condizione.
Solo che questa volta c’era qualcosa di diverso, questa volta era bello sentirsi stanca più del solito.
Questa volta c’era la finestra di fronte e il mondo che l’abitava.
Questa volta era diverso.
- “Caro Franklin questa volta ho la sensazione che il caos di fuori possa iniziare a convivere con quello di dentro. Questa volta non scaleremo nuove montagne, questa volta ci mettiamo alla finestra e vediamo se gli occhi confondendosi con il fuori trovano altre perfezioni di dentro…cosa ne pensi?”
- “miao…”
- “Vabbè, facciamo che hai capito…però con la casa ci parli tu. Allora rimani pure nella scatola. Ma poi tu di che razza sei…bah”
- “miiao…”