Formule segrete per gli insonni

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di Paola Lombardi

Incontrarsi, sfiorarsi, prendere altre direzioni che conducono nello stesso punto: su una panchina di fronte al mare. Il molo, le barche ancorate, la strada che si dipana come un filo nel nostro orizzonte. L’odore dell’acqua salmastra, l’odore di una città ancora da dimenticare. Abbiamo fatto del nostro meglio per evitarci, per evitare che succedesse questo. Non doveva accadere. Ognuno per la sua strada.

Era questo il nostro obiettivo fin dall’inizio. Ma a volte le cose non vanno mai come devono andare. O forse, no. E’ il contrario tutto accade perché così deve andare. E’ stata una pura casualità, una svista del destino che ci ha restituito l’opportunità di ritrovarci. Avevo una cartina nella borsa ma l’ho smarrita da qualche parte e, senza sapere dove andare, mi sono seduta su una panchina per riorganizzare le idee. Il mare davanti a me mi ha incantata.

Ho cominciato a respirare più intensamente provando una stanchezza profonda. Da anni sono costretta periodicamente a dormire in alberghi sconosciuti o a farmi ospitare da amici in letti che non ho mai provato. Non riposo. Nella mia casa non riesco a rilassarmi, non trovo pace, non trovo tregua, mi agito quando arriva la notte. Mi sale una specie di euforia e un senso di angoscia che si fondono insieme e mi tengono sveglia.

La paura del tempo che passa, l’angoscia del presente, la speranza folle nel futuro si mescolano e formano un caleidoscopio che mi avvinghia. Mi addormento stremata nel cuore della notte, ma al minimo rumore mi sveglio di nuovo come se fossi sempre in pericolo, come se ogni voce che percepisco nel sonno fosse un’imminente minaccia che mi spinge ad alzarmi in fretta. Per questo vicino al letto devo avere sempre una valigia già pronta. E’ l’unico pensiero che allevia la mia angoscia: una valigia che custodisce le cose più importanti. Ma a volte non basta.

E finisco con l’andare a dormire negli alberghi. Le lenzuola bianche e anonime, le coperte arrotolate negli armadi sono il viatico migliore per il sonno. E l’estraneità, quel senso di sospensione, di non appartenenza delle stanze d’albergo le rendono rassicuranti. Posso dormire, tranquillizzata dall’assenza di partecipazione, dalla novità di un letto sconosciuto. Stavolta, non ha funzionato. Dopo un lungo viaggio, straziante sotto tutti i punti di vista, sono arrivata stanchissima in una stanza al terzo piano di un albergo con la moquettes.

La stanza che mi è stata assegnata mi è parsa angusta, con mobili di legno troppo chiaro. Il letto a due piazze ha accolto la mia stanchezza ma non ha mitigato la mia insonnia e poco prima dell’alba sono uscita, ormai stanca dei tentativi di addormentarmi. Ho vagato, senza una meta precisa, ho camminato cercando di capire almeno qualcosa dell’evoluzione della città. Il mare mi ha attratto dal primo istante e malgrado tentassi di aggirare il porto e cercassi di spingermi nell’entroterra alla ricerca di alture e di monumenti ho finito con il ritrovarmi su una panchina di fronte al mare.

L’odore dell’acqua salmastra, la brezza leggera mi hanno accompagnato per ore di vagabondaggi animata dal tentativo di stancarmi. Il sole ha scaldato sempre di più le ore successive del mattino e sono finita, senza sapere come, nello stesso identico punto per la terza volta. Intorno non c’era nessuno. Mi sono appoggiata sulla panchina e mi sono accorta di essere senza forze, le gambe pesanti e i piedi doloranti. Mi sono stesa sulle doghe di ferro rese calde dal sole e in pochi istanti sono precipitata in un sonno profondo. Senza nome, senza bagaglio sono caduta in un sogno irreale distesa come una mendicante su un’anonima panchina tra decine di persone che mi camminavano accanto. Così mi hai ritrovata. Per caso, resa quasi irriconoscibile dal sonno e dal sole con la borsa usata come cuscino in una posizione tale da suscitare qualche risatina tra i passanti distratti.

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