Corro perché la vita va veloce
Corro perché la vita va veloce, perché il mondo è immenso e il tempo è sempre stretto, mi rincorre ad un
passo e tuttavia non fuggo da lui, piuttosto corro verso gli spazi, vuoti o pieni, che scorgo tra i miei scatti
repentini prima che mi sorpassi e frapponga ostacoli. Tra decine, centinaia di genti che popolano le strade, si distingue la mia marcia spedita di levriero che dribbla le folle su un invisibile tappeto volante, capace di salti e scarti di lato, per raggiungere persone e luoghi non ancora affievolitisi in ombre che un giorno sfumeranno nel buio.
Quindi corro perché nulla resta uguale, e non voglio perdere ciò che più non sarà, e quello che poi sarà: l’angolo di una strada antica e poco battuta che diventerà un quartiere alla moda, lo sguardo di una ragazza che tra qualche anno rughe tenere incorniceranno, un bel locale che cambierà gestione, un cielo notturno d’estate sgombro da nubi e da lampioni. E quando le gambe non bastano, mi soccorrono due ruote, un manubrio e pedalo, pedalo, pedalo per beffare il tempo con un ghigno brigantesco, fino a incontrare il precipizio immancabile di una corsa sconfinata.
Lui pensa forse che mi fermi, ma sbaglia di grosso perché continuo a pedalare a perdifiato verso un dosso naturale nel terreno: sarà il trampolino per raggiungere il prato dall’altra parte, giusto prima che sbocci un fiore. Il rischio è calcolato, il risultato non è assicurato, ma io non smetto di correre, e se il salto non dovesse riuscire sarà comunque riuscita la beffa: svanirò in un grande boato con parecchie miglia avanzate nelle gambe, prima che mi consumi lui in un’ombra, quando sarò esausto, dopo averlo fregato tante di quelle volte.