Come posso chiamarti
di Susan Moore
Come posso chiamarti? Devo darti un nuovo nome. La nostra città fornisce nomi precisi: per classe e per censo. Abbiamo centinaia di Patrizia e Paola della mia età; recentemente Sarah e Samantha. Con la h come Deborah. Valentina e Sabrina vanno forte… Sarai quindi Elisabetta, Betta per gli amici. Suona quasi come il tuo diminutivo monco di una lettera, colmo di una consonante non usa.
Mi hanno chiamato l’altra sera, una telefonata normale, pareva.
Betta è in ospedale. Pronto soccorso per una tosse insistente, troppo insistente. Betta è stata coraggiosa, come se si avesse scelta, ha affrontato la cannula che ti perfora il collo. Non può parlare. Non vuol vedere amici superflui. Attende senza sapere bene cosa.
Io lo ricordo lo squarcio in gola.
Quello nato dalla tosse secca e stizzosa. Insistente come una biscia. Insidiosa e costante, come una vipera. Ricordo le telefonate a gettoni, con la rassegnazione a far da bicchiere alle lacrime. Se fosse venuta prima… prima era laringite, tosse nervosa, bronchite secca, tosse da fumo, allergia. Prima erano 2 anni perduti. Vissuti.
Io lo ricordo lo squarcio in gola.
La mutilazione del pensiero, che tu pensi ma non parli. Che tu pensi, ma non ti ascoltano perché non riescono a capire quei suoni tronchi.
Ricordo la lotta e la paura.
“Se sta male, aspirale la gola”… chi aveva più paura? Tu seduta sul divano della microcasa, con il collo fasciato a nascondere lo squarcio o io, stupida bambina non ancora cresciuta?
Ricordo la resa.
Non eri più donna, essere umano, ma un pezzo di carne parcheggiato neppure in Astanteria. Non c’erano letti. Non c’erano stanze in questa metropoli che tanto si vanta della sua efficienza. Non c’erano monitor o medici… non c’era nessuno. A turno, si è assistito alla vera potenza dell’elettricità del corpo. Impotenti.
Ricordo lo squarcio in gola.
Betta ha più o meno la mia età.
Betta parla tanto, a volte ha lingua tagliente.
Betta ora.
Prima dello squarcio in gola.