Cinque voci per un tramaru

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di Claudio Caramadre

Cinque voci che mi chiamano.
Dalla riva cinque figure indistinte, nel tramonto sul mare, urlano felici.
In piedi su una pedana di legno ci sono io, con la camicia aperta e il costume asciutto, le mani nelle tasche.
Il sole intanto annega, sprofonda in quel blu sempre più cupo di minuto in minuto, eppure non si vede il vapore dell’incontro, il soffio del fuoco che bacia l’acqua, il caldo che s’abbandona al freddo, il duro che s’affida al morbido. Se udissi il suono del raffreddamento dell’astro potrei essere sicuro che in quel rumore, in quello sfrigolio d’esseri antichi, risieda la Vita.

Forse dovrei essere divino per poterlo percepire, magari un’entità superiore potrebbe accorgersene, avvertirlo, come s’avverte il ferro caldo, appena battuto, gettarsi nel gelido secchio del fabbro. Ma, ahimè, sono umano, e cinque voci mi chiedono d’unirmi alla festa in onore del tramonto, “termine sbagliato” penso, “visto che l’etimologia suggerisce che il Sole debba andarsene ‘dietro i monti’”. Però tant’è, e se anche volessi coniare un neologismo? “Tramare” è già occupato in chissà quali stanze e in chissà quali oscuri piani mentre “Tramari” sa di Sicilia.

Che mi basti il sanscrito allora, è deciso: “Tramaru”. Questo è un tramaru bellissimo, dipinto dall’arancio e dal blu intenso mentre l’ocra della spiaggia e l’azzurro dell’orizzonte guardano e fanno da apprendisti, il primo che si lascia bagnare e il secondo che si lascia attraversare. Ognuno ha una modalità diversa d’imparare.
Cammino, lentamente, con le mani nelle taschine verso le figure allegre come menadi per onor di Bacco. Le sabbie s’infilano fra le dita dei piedi per gioco mentre mi avvicino all’acqua. Il suo suono è dolce, per nulla arrabbiato, ma leggero eppure ancora arrembante sull’arena; le onde vanno e vengono come un interminabile andirivieni di un Donizetti, un attimo si raccolgono a centinaia sulla riva e un attimo dopo sembrano cessare, solo per ricominciare.

Cinque voci mi chiamano e i miei piedi si bagnano, vanno a conoscere dopo il secco l’umido, si felicitano e al tempo stesso si stupiscono della frescura, loro che fino ad un momento prima avranno immaginato che il mondo fosse solo di sabbia. Fisso la distesa che cela la vita, che nasconde l’origine, il manto in cui le stelle da sempre si specchiano e, per una volta, si vedono anch’esse mobili e non fisse.
Ben presto, le cinque voci che mi chiamavano da lontano e poi da vicino mi richiamano da lontano. Sono solo sulla riva, solo a guardare il nulla e il tutto; l’ultima goccia di idromele, fine del tramaru, domani si forgerà un nuovo sole. S’alza un vento leggero che mi scompiglia i capelli, non mi chiama più nessuno… ma sarà meglio che mi chiami da solo.

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