Chi lo ha detto che i gremlins non esistono?
Le cose non andavano troppo bene da qualche anno per Robert: aveva sempre avuto qualche paura razionalmente incontrollabile ma tutto, negli ultimi dodici anni, si era spesso capovolto.
Tutta la popolazione mondiale ha timori irrazionali che non riesce a controllare; molte persone hanno il terrore delle scale mobili, alcune degli sfiati della metropolitana, altri ancora non possono trovarsi nei paraggi di un pagliaccio o di un palloncino rosso.
Nessuno conosce le vere motivazioni di questi regressioni psicologiche delle quali anche Robert era vittima: era certo, in maniera assoluta, che esistessero delle piccole creature dispettose viste in un film quando era poco più che un bambino.
Quando aveva otto anni, si era seduto sul divano accanto ai suoi fratelli; avevano deciso di guardare quella videocassetta che i suoi genitori avevano portato a casa dal noleggio. Nei giorni precedenti, i suoi compagni di scuola gli avevano raccontato che fosse un film divertente e che, se non era un fifone, avrebbe dovuto assolutamente guardarlo.
Robert era stato colto da un presentimento che gli procurava freddi brividi lungo la schiena, ma aveva ricacciato indietro quella sensazione di disagio e aveva chiesto a suo padre di affittarla.
Si era ritrovato lì, convinto che la presenza dei fratelli lo avrebbe fatto sentire al sicuro; spinse la cassetta nel videoregistratore, premette il tasto di avvio e si lasciò coccolare dal divano. “Cosa sarebbe mai potuto accadere” pensò Robert, “era solo un qualcosa di impresso in un nastro”; lui non aveva paura e, nel caso, avrebbe finto di essere lì per proteggere gli altri.
Fu esattamente questa la situazione che si verificò: il film lo spaventò così tanto che sentiva la sua coscienza intorpidita ma i suoi fratellini erano più terrorizzati di lui e doveva farsene carico, altrimenti la mamma lo avrebbe sgridato per aver voluto guardare quel film così strano.
Nonostante gli anni fossero passati e fosse sopraggiunta la consapevolezza che tutto fosse frutto della fantasia del regista, in Robert era rimasta quella vocina che gli raccomandava di fare attenzione ai piccoli particolari che avrebbero reso i gremlins temibili e aggressivi devastatori. Quelle creature non dovevano mangiare dopo la mezzanotte e non dovevano bagnarsi, altrimenti sarebbero diventate crudeli e si sarebbero moltiplicate a dismisura.
Non sapeva come il bambino che viveva dentro di lui avesse alimentato quella fantasia ma non riusciva a liberarsene: le regole erano poche e bastava rispettarle per non dover temere nulla, in fondo che male c’era, tutti avevano delle piccole fissazioni da assecondare.
Quando tornava a casa, eliminava dalla circolazione qualsiasi liquido: era arrivato a chiudere il miscelatore del lavandino con uno speciale tappo ermetico, asciugava tutto con cura maniacale e, soprattutto, eliminava ogni traccia di cibo o briciole. Queste precauzioni lo facevano sentire al sicuro e non se ne vergognava. Solo un pochino forse.
Quella che sembrava solo una mania scaramantica, negli ultimi anni, era diventata una vera e propria follia. Robert aveva subito dei forti periodi di stress e, ad un tratto, tutto quello che nella sua vita riteneva sicuro aveva iniziato a sgretolarsi tra le sue mani, non riusciva a mantenere il controllo su nessun aspetto della sua psiche ed era certo che, nonostante gli accertamenti che effettuava per non sentirsi perseguitato da quelle creature, loro fossero nel suo appartamento. Poteva udirle parlottare tra i mobili, nascoste dal buio, mentre ridevano della sua stupidità e della sua mancanza di attenzione. Lo prendevano in giro perché loro erano più furbi e glielo avrebbero, senza dubbio, dimostrato.
Quando Robert si era reso conto che stava esagerando ne aveva parlato con Val, il suo migliore amico, che lo aveva rassicurato promettendogli che tutto questo era solo dovuto al brutto periodo che aveva passato. Robert credeva al suo amico ma una parte di lui si rifiutava di fidarsi.
Ogni sera tornava casa, si accertava che nessuno fosse entrato nel suo appartamento, dopo di chè ripeteva meccanicamente ogni gesto come fosse la sua religione. Dopo aver compiuto l’ispezione generale, si chiudeva in camera sua ma li sentiva mormorare, le poteva avvertire mentre correvano tra le sue cose e picchiettavano i loro piccoli pugni sulla porta della stanza; alcuni di loro stavano devastando il salotto: i vasi cadevano e deflagravano, le stoffe del suo divano venivano strappate. Robert poteva sentire tutto ma non aveva il coraggio di alzarsi e spesso passava la notte rannicchiato tra le lenzuola incapace di muoversi. Quando poi arrivava la mattina, i mostri avevano finito di disturbarlo e finalmente poteva liberarsi dalla sua prigione: come per magia tutto era a posto, nessun pezzo di vetro o ceramica in giro, il divano era integro, come se non fosse mai accaduto nulla di tutto quello che, era certo, aveva sentito.
Solo il terrore che aveva provato era reale? La sua intera esistenza stava precipitando nel baratro, non riusciva ad andare a lavoro, non poteva uscire, voleva solo rimanere in casa a cercare un modo per venirne fuori ma non era in grado di trovarne uno. L’amico con cui si era confidato gli aveva suggerito, infine, di tentare con la psicoterapia.
Aveva accettato di buon grado questo tentativo, si era fatto consigliare qualche nome dal proprio medico di base e aveva fissato un appuntamento. L’esperimento durò quattro settimane, fu estremamente costoso e non sortì nessun tipo di effetto. Perché non risolvi qualcosa di cui non vuoi vedere la causa.
Decise che ce l’avrebbe fatta da solo, si sarebbe costretto a riprendere le sue abitudini, ne avrebbe stabilite altre e piano piano il terrore sarebbe scomparso ancora prima che lui potesse realmente accorgersene.
Erano passati mesi, Robert ci era riuscito e i suoi nemici avevano abbandonato il campo. Per qualche tempo, aveva accarezzato l’idea di comprare un gatto ma ci aveva ripensato: un gatto avrebbe rappresentato un aiuto e lui non aveva bisogno di nessun tipo di sostegno. Lui era forte e si sarebbe comportato da adulto: i gremlins non esistevano. Se lo ripeteva tutte le sere prima di andare a dormire e dopo aver comunque ispezionato la casa.
La sua vita stava ricominciando a prendere forma, tutto era molto più bello e reale, aveva perfino trovato il coraggio di invitare fuori a cena Anna. L’aveva conosciuta nella caffetteria sotto casa; lei stava bevendo un cappuccino come tutte le mattine in cui l’aveva osservata senza avere il coraggio di parlarle.
La cena era stata un successo, si era offerto di riaccompagnare la sua ospite ma lei lo aveva sorpreso chiedendo di poter vedere il suo appartamento. Robert gli era sembrato un uomo galante ed era curiosa di sapere dove vivesse un tipo così. Si era stupita di non averlo mai incontrato, in fondo abitavano nello stesso quartiere e frequentavano gli stessi luoghi; lui non ebbe il coraggio di dirle che l’aveva notata molte volte, semplicemente guidò fino a casa sua.
Appena posteggiato, scese e aprì la portiera per farla scendere, lei era sempre più colpita da quest’uomo dagli occhi verdi e sinceri. Varcato l’ingresso del palazzo, in cui Robert viveva, i due presero l’ascensore. Lui la guardava pensando quanto fosse fortunato, avevano bevuto molto vino e non riuscì a resistere alla tentazione di baciarla.
Lei si lasciò travolgere e non si accorse che l’ascensore si era aperto lasciandoli davanti alla porta. L’appartamento era come lei si aspettava: caldo, accogliente e molto elegante ma in quel momento c’era qualcos’altro che le interessava; voleva perdersi con quell’uomo e lo spinse verso il divano, lui urtò contro il bracciolo ma lei si fece perdonare soffocando le proteste con un lungo e intenso bacio. La passione fece il resto e fu la degna conclusione del loro appuntamento.
Robert, ancora ebbro del ricordo del vortice che li aveva colpiti, si alzò e prese l’orologio scoprendo che erano le 24.00. Non era tardi ma ricordava che lei aveva detto di doversi alzare presto la mattina seguente e, seppur a malincuore, la svegliò porgendole un cioccolatino che lei mangiò felice. Si rivestirono con calma, Robert non voleva certo lasciarla andare ma si era imposto di essere ragionevole, l’avrebbe rivista sicuramente.
Tra una carezza ed ancora un bacio, lei sorrise e chiese un bicchiere d’acqua prima di uscire. Robert non se lo fece ripetere due volte: andò verso la cucina e versò il liquido cristallino nel bicchiere.
Quando Anna ebbe tra le mani l’oggetto del suo desiderio ne bevve avidamente, in maniera innaturale, come se non avesse mai bevuto dell’acqua prima di allora.
La mezzanotte era appena scoccata, il bicchiere stava cadendo a terra e, ad un tratto, la bellissima donna che Robert aveva incontrato si stava accartocciando su se stessa, una peluria sempre più fitta la stava ricoprendo e altre piccole palle di pelo si stavano staccavano dal suo corpo, godendo di vita propria.
Prima che potesse rendersene conto, Robert si trovò accerchiato dal suo più acerrimo nemico; lo aveva fatto entrare in casa lui stesso e ora non poteva fuggire.
Non ci fu tempo per pensare a nulla, era come impietrito: i piccoli esseri si diedero lo slancio all’unisono e balzarono addosso all’uomo che aveva sempre negato loro l’accesso alla camera da letto. Tutti insieme gli squarciarono le carni e, continuando ad emettere suoni agghiaccianti, sembrava che ripetessero: “Chi lo ha detto che i gremlins non esistono?”.