Il Caso del Gesso
Era un mattino grigio e piuttosto uggioso, l’inizio della giornata non prometteva nulla di buono solo a guardare dalla finestra.
Da qualche tempo, in città si verificavano strani casi. Il telefono, alla centrale di polizia, suonava così spesso che ci fece pensare che staccarlo sarebbe stata la scelta più saggia che avremmo potuto prendere.
Nessuno voleva più alzare la cornetta, sicuramente per non sentire, ogni volta, le cose orribili che ci venivano riferite.
Ve l’ho già detto: in città avvenivano strani omicidi. Mai vista una cosa così in tutta la mia vita.
Il primo caso riguardava un artigiano, uno di quelli che per vivere fabbrica statuine per le rappresentazioni della nascita del Cristo. I suoi familiari lo avevano trovato in un lago di sangue, nel laboratorio al piano terreno della loro casa. Visto che non si era presentato a lavoro, l’ex moglie era andata a cercarlo. È del tutto privo di utilità che vi narri lo stato di shock in cui la trovammo.
Ad uccidere il marito era stata quella, che ad un primo esame, sarebbe potuta sembrare una ferita da nulla. L’artigiano si era stato colpito all’altezza della caviglia e da lì sembrava aver perso quasi tutto il suo sangue.
Il corpo era stato trovato seduto al tavolo da lavoro, mentre stava ancora lavorando adoperandosi per le finiture di una qualche creazione che non eravamo stati in grado di trovare.
Come vi ho già detto, sul corpo vi era un’unica ferita e nella stanza avevamo reperito un piccolo bisturi da cesello imbrattato di sangue, null’altro: nessun segno di colluttazione o di scasso.
Ad un esame più accusato del medico forense, in obitorio, era risultato che sì era morto per dissanguamento da quell’unica ferita, ma la sua caviglia mancava completamente della giuntura che collegava il piede alla tibia.
Il medico scoprì anche che l’uomo faceva uso di un medicinale che impediva la coagulazione e, quindi, il dissanguamento era dovuto a quella specifica circostanza.
Quindi il mistero verteva sulla sparizione della giuntura anatomica e sull’autore del “furto”.
Nei giorni seguenti, si erano succeduti casi simili.
Erano avvenuti altri omicidi, persone non collegate tra di loro in nessuna maniera se non per il fatto che tutte, o quasi, erano morte in seguito a dissanguamento per ferite che, se curate in maniera adeguata e tempestiva, sarebbero state innocue.
Ma questo vale, per l’appunto, solo per alcuni di essi.
Gli altri, quelli di cui nessuno di noi parla, sono stati coloro di cui le giunture trafugate erano di funzione vitale. Se solo avessimo potuto prevedere quello che sarebbe stato…
In città regnava il caos.
Il serial killer non lasciava traccia, nessuna impronta.
Ma presto notammo che, nei casi più efferati, lungo i lembi delle ferite veniva trovata polvere di gesso.
In seguito a questa scoperta, l’idea generale che ci facemmo fu che l’assassino, in qualche modo, fosse un emulatore del famoso Jack lo squartatore. Quanto ci sbagliavamo.
Il nostro compito, in quel momento, divenne scoprire a cosa potessero servire le giunture del corpo umano e se l’assassino si sarebbe mai limitato unicamente a sottrarre quelle.
Durante il caso “della mandibola” ci capitò, forse, di aver quasi sorpreso l’omicida ancora nel luogo del delitto.
Mentre entravamo nell’edificio, ci siamo imbattuti nella figura di un uomo, credo, in impermeabile che usciva dall’ascensore. Non ci badammo subito ma notammo, in seguito, le tracce ematiche lasciate sul pavimento dell’elevatore.
Ci fu un altro particolare che notai in seguito: indossava un impermeabile uguale al mio.
Anzi, non è esatto, era esattamente il mio. Ricollegai il mio sospetto all’uomo perché avevo notato la macchia sulla manica, del tutto simile a quella di caffè che mi ero procurato la mattina urtando un collega e, ora, non ero più in grado di ritrovare il mio indumento.
Non sapevo come fosse possibile, stavo perdendo completamente la nozione del tempo.
Quei casi così folli e privi di senso mi avevano portato in uno stato di incoscienza per cui non riuscivo più a percepire la differenza tra un giorno e l’altro.
Le mie giornate erano frenetiche e, se non mi trovavo sulla scena di un delitto ricolma di sangue, ero in obitorio o a cercare di percepire anche solo il minimo indizio tra la documentazione che avevo raccolto fino ad allora.
Mentre io e la mia squadra non riuscivamo a stanare quel folle, il mio impermeabile era sparito. Non ne avevo mai sentito l’esigenza ma senza mi sentivo in uno stato di perenne infreddolimento.
Pensavo di averlo lasciato sulla sedia della mia scrivania ma non c’era; provai anche a cercarlo in auto e a casa ma sembrava come essersi volatilizzato nel nulla.
Lo avrei cercato meglio appena ne avessi avuto il tempo, mi ero detto.
Non era rilevante quella scomparsa fino a quando non ho visto le mie mani imbrattate di sangue rappreso. Me ne sono reso conto in casa, mentre rovistavo in cerca dell’impermeabile. Ad un tratto, in piedi, al centro del mio salotto, ho voltato lo sguardo verso lo specchio, non c’era nulla di strano…non vi era proprio nulla, nemmeno io.
Non mi sono mai sentito così spaesato in tutta la mia vita, ho iniziato a tastarmi e più mi toccavo e più mi accorgevo del sangue. Non era solo sulle mie mani, era ovunque e poi… poi andai in camera da letto per cercare qualcosa di pulito e lì lo vidi: prono, in un lago rosso, il mio corpo da cui era stata asportata la colonna vertebrale.
Fu lo stesso instante in cui ho compreso e rivissuto. Ero tornato a casa, confuso da quel periodo di cui non riuscivo ad individuare la fine. Mi ero preparato una parca cena e mi ero coricato ancora vestito.
Il giorno dopo non ricordavo come fossi arrivato alla centrale, non mi aveva stupito in nessun modo lo sguardo spento dei miei colleghi: avevo semplicemente continuato a lavorare.
Sono stato la prima vittima della mia squadra, oltre al danno anche la beffa di dover spiegare ai miei colleghi cosa era accaduto quando mi raggiunsero in questo limbo di non vita.
Il nostro uomo, oltre a sembrare una sorta di ombra, si era appropriato dei nostri effetti personali: gli impermeabili, i distintivi, le armi di ordinanza. Nessuno aveva badato alla nostra effettiva assenza visto che testimoni narravano di averci incontrati per la città mentre indagavamo sul “ladro di giunture”.
A quel punto avevamo le classiche due scelte: la prima consisteva nel lasciar perdere mentre la seconda, che poi scegliemmo, consisteva nel continuare le indagini.
Quando facemmo il punto della situazione, gli elementi a nostra disposizione consistevano in poche certezze. Sapevamo che il colpevole si era appropriato delle nostre credenziali, che apprezzava bersagli solitari e isolati e non facilmente soccorribili; doveva essere connesso, in qualche modo, con dei luoghi in cui era presente del gesso. Dovevamo agire in fretta perché non erano molte le giunture umane di cui dovesse ancora impossessarsi.
Ci sparpagliammo, infestando ogni luogo che prevedesse la presenza di quella particolare polvere bianca, ma nulla. Quindi, uno di noi decise di stazionare alla nostra centrale per sapere in quali luoghi venivamo riconosciuti: uno o due giorni ed arrivammo ad un possibile prossimo bersaglio.
Al nostro uomo mancava una spalla e il mio distintivo era stato visto al porto, vicino ad un capannone abbandonato.
Avevamo un bersaglio e preparammo la sortita.
Ci eravamo organizzati a fronteggiare ogni sorta di situazione, tutte tranne quella che ci trovammo di fronte.
Un essere, non più grande di una statuetta da presepe: non era umano, era fatto di gesso!
O meglio, lo era nelle parti in cui non si era impiantato le parti anatomiche rubate.
Mentre lo osservavamo, parlava a se stesso modulando una specie di cantilena dal suono somigliante a due sassi che strisciano l’uno sull’altro. Continuava a ripetersi che voleva diventare una persona vera ma che il suo creatore non lo aveva mai compreso e si era meritato la morte.
Ora, il peso del suo corpo sarebbe poggiato, in un certo qual modo, sulla stupidità di quel vecchio umano che non lo aveva capito.
Non ci potevamo credere, tutte quelle morti per rispondere ad un desiderio di umanità delirante?
Non potevamo cancellare le morti e non potevamo denunciare l’accaduto ma usando, di nuovo, le mie povere ossa scrissi un indizio per coloro che sarebbero passati davanti al magazzino:
“Polvere era e polvere è tornato. Da articolazioni di sangue e parole fu forgiato e per essere umano esso ha rubato.”
Così, il nostro caso, finalmente si chiuse.