Carnevali

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“Cari amici…”. Quella sera aveva acceso il pc, come faceva spesso, per collegarsi al social. Era gente che per la maggior parte neanche conosceva, se non da quelle schermate, ma con alcuni di loro aveva stabilito una specie di legame a bassa intensità, piacevole e a volte percorso da un sentore di calore umano, non impegnativo, come un tempo potevano nascere dalle lettere degli “amici di penna”. Quella stessa sera, aveva letto tra le notifiche qualcosa di insolito. Lo rilesse ancora.

“Cari amici, mi rammarica dirvi che è il mio ultimo messaggio. Grazie della compagnia, delle canzoni, delle risate e delle condivisioni. Buone cose a tutti”. Era una delle sue frequentazioni più assidue, virtualmente parlando. Cominciò pochi anni prima, semplici scambi di idee su cose di musica, cinema e libri, ma via via aveva instaurato una specie di intimità che dalle semplici battute salì fino al piano personale delle confidenze e dei consigli.

Appurato di aver letto bene, ebbe come uno scatto di rabbia e delusione, perché nulla delle loro comunicazioni private lasciava anche solo immaginare l’imminenza di questa scelta, se scelta era, e per non aver ricevuto un messaggio riservato di spiegazioni visto che il post risaliva alla mattinata, come se quell’esternazione rivolta a tutti, non seguita e soprattutto non preceduta da un cenno complice e privato, fosse la prova di un tradimento; poi pensò “che sto facendo”, lesse i messaggi di saluto dello stesso circolo di contatti, quelli che si chiedevano cosa fosse successo, altri, immancabili ma in minoranza, che se ne compiacevano, e scrisse il suo, discreto, in cui esprimeva uguale rammarico, ricambiava i ringraziamenti, augurava fortuna auspicando un futuro ritorno.

Neanche accennò una richiesta di chiarimenti, realizzando che nonostante la confidenza raggiunta quel rapporto non chiedeva nulla di più, nulla di meno. Continuò a scorrere le notifiche, calcolò per l’ennesima volta le ripetute sequenze binarie dei “mi piace/non mi piace”, le scorte infinite dei bla-bla e la contabilità dell’amicizia; pensò alla vita di tutti i giorni con le sue affannose sciarade mentre la colonna delle notifiche si accresceva di un’unità, al conteggio di tentativi di facce da copertina che aveva accumulato chi, quella mattina, aveva annunciato il suo ritiro confrontandolo con le sue, alle scadenze del mese e all’ennesimo sguardo abbassato dopo un’umiliazione non meritata sul lavoro e al costo di alzare la testa, ai figli che non aveva e a quelli degli altri, e quanti erano. Come dietro un sipario, lo streaming suonava una vecchia canzone: “Forse, una sera di carnevale, ti chiederai quanto vale un uomo. La risposta? È sempre un numero”.

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