Carlo spicca il volo
di Laura De Santis
Lo avevano sempre definito un pallone gonfiato. A Carlo non interessava affatto cosa pensassero gli altri. A Carlo interessava soltanto di se stesso. Di se stesso non avrebbe detto quello che dicevano gli altri. Guardandosi dall’interno, Carlo poteva dire di vedersi diverso da come poteva apparire dall’esterno. Insomma, dal profondo di sé, Carlo poteva dirsi una persona tranquilla che non amava affatto mescolarsi con gli altri. Carlo era felice di poter stare da solo. La solitudine che tutti temevano, come fosse una orribile malattia, per lui era un balsamo, un rifugio sicuro, un porto franco. Proprio perché amava la sua stessa compagnia, appariva fastidioso a tutti gli altri. Ma di certo non era colpa sua se le altre persone gli sembravano invadenti, insistenti, chiacchierone e tediose come mosche in inverno.
Carlo leggeva, scriveva lunghe lettere agli assenti, comunicava con gli altri attraverso elaborati messaggi, ma non sopportava dover rispondere al telefono. Pensava che una telefonata fosse la forma di invadenza più terribile nella sua vita di solitario senza rimpianti.
Le sue giornate trascorrevano serene, aveva un sorriso per tutti, ma di fronte ai chiacchiericci degli altri si infastidiva e desiderava rivolgersi altrove. Ogni tanto si affacciava alla finestra della sua modesta casa, ma non guardava il vicolo e la vita che vi si svolgeva all’interno, caotica e frenetica, Carlo guardava il cielo. Perché Carlo aveva un sogno, quello di volare. Ci pensava da quando era ragazzino, avrebbe desiderato svegliarsi una mattina con luminose ali da uccello. Raccoglieva, infatti, piume di ogni genere e ne aveva una vasta collezione che quasi nessuno aveva mai visto. Nelle sue riflessioni notturne si convinse che fosse arrivato il momento di spiccare il volo.
Gli altri notarono un improvviso cambiamento nel Carlo esteriore. Ad un tratto sembrò più agitato del solito, la sua proverbiale flemma era scomparsa. Ogni tanto si fermava anche a chiacchierare, diceva qualche parola senza ricorrere alle sue freddure filosofiche che spegnevano ogni tentativo di conversazione. Per una volta, aveva messo da parte i sofismi e il cinismo, per una volta sembrò quasi umano.
Una mattina lo videro uscire da casa tutto sorridente. Aveva preso qualche giorno di ferie. I clienti del bar passarono al setaccio ogni suo gesto, l’abbigliamento, il sorriso del tutto nuovo sulla faccia di Carlo. “Oh Carlo! Dove vai così presto?”, gli urlarono tutti dietro. E Carlo, con la faccia che aveva sempre saputo di avere potendosi guardare dall’interno, disse a tutti: “Vado a volare, vado a volare”.
Tutti scossero la testa, come si fa davanti a un pazzo, sorrisero e sputarono sui sampietrini, salutando Carlo con la mano libera dal bicchiere.