L’allarme dell’orologio
Era un pomeriggio d’autunno. Fuori c’era un sole bellissimo, che quasi non sembrava Novembre. Le giornate di pioggia, che avevano caratterizzato i giorni precedenti, avevano reso quel pomeriggio di sole ancora più bello. Così Anna decise di fare una passeggiata nel parco. Presto le giornate di pioggia avrebbero ripreso il sopravvento. Quel giorno l’aria era diversa: Anna sollevò lo sguardo e sentì gli uccelli cinguettare sugli alberi; poi le urla dei bambini che giocavano nel parco la incuriosirono, e si avvicinò verso i giochi. Si fermò ad osservare tutti quei bambini, le mamme che spingevano l’altalena, i papà che giocavano a calcio con i loro figli. Potevano avere tra i 3 ed i 6 anni, quanta gioia trasmettevano, e Anna ripensò alla sua infanzia, quando passeggiava con il suo papà e la sua mamma nel parco; osservando le mamme, ricordò quando il suo papà si strappò il giubbino di pelle per spingerla sull’altalena, o, quando, troppo piccolina, per paura che potesse scivolare, metteva la cinta dei suoi pantaloni come fermo sull’altalena. Quanti ricordi affollavano la mente di Anna in quel momento! Nel suo volto, però, c’era tanta tristezza!
Riprese a passeggiare con aria pensierosa, poi si fermò su una panchina ed aprì un libro. Era immersa in quelle pagine, il suo volto pallido era illuminato dal sole, i suoi capelli biondi erano raccolti in un foulard. Era tanto bella Anna. Aveva circa 16 anni.
La sua lettura fu interrotta da Roy, un cagnolino nero, con un volto buffo, con un orecchio alzato ed uno abbassato, che iniziò ad abbaiare a scodinzolare. Anna lo accarezzò, e Roy si sedette sui suoi piedi per farsi accarezzare meglio.
“Mi scusi, Roy non mi ascolta mai”, disse Stefano, il padrone del cane, mentre frettolosamente rimetteva il guinzaglio al cane.
“Roy? È così che si chiama?” domandò Anna.
Anna e Stefano cominciarono a parlare di Roy, quando ad un certo punto Anna guardò l’orologio e disse: “Sono già le 17, scusa devo scappare“.
Stefano si accorse che Anna aveva dimenticato la penna sulla panchina, ma ormai era troppo lontana per correrle dietro. Sulla penna era inciso il suo nome “Anna”. Solo allora seppe come si chiamava quella ragazza solitaria.
Era trascorsa una settimana, ma Stefano non aveva più rivisto Anna nel parco. Voleva restituirle la penna, che da diversi giorni aveva in tasca, con la speranza di rivederla prima o poi.
Un lunedì, mentre Stefano passeggiava in piazza, vide un volto familiare in una libreria. “Ma quella è Anna” sussurrò tra sé.
Entrò nella libreria. Anna stava pagando il libro, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e chiamarla per nome. Lei si voltò e lo riconobbe.
“Piacere Stefano! Non ci siamo presentati nel parco”.
“Piacere Anna” (sorrise).
Stefano la invitò a bere un caffè nel bar di fronte la libreria, chiacchierarono a lungo, e solo allora si accorse di quanto era bella Anna.
“Anna, prima che me ne dimentico, devo darti una cosa”, esclamò Stefano.
Sfilò dalla tasca la penna e la poggiò sulla mano di Anna. La mano di Anna era così piccola e delicata, ma anche tanto fredda, così Stefano la tenne tra le sue mani per un poco, per riscaldarla.
Continuarono a parlare del più e del meno, quando suonò l’allarme dell’orologio.
“Hai un appuntamento?” chiese Stefano.
“Sì scusami, devo andare”.
“Ci rivedremo Anna?”
“Sì, qui domani, alla stessa ora”.