Sami Modiano, sopravvissuto ai campi di sterminio racconta l’orrore per dire: mai più
Samuel, Sami, Modiano ha uno sguardo limpido, delle lunghe mani e un sorriso dolcissimo. Al suo fianco c’è la moglie Selma, una donna minuta, ma fortissima, che parla a bassa voce e sa sempre trovare le parole giuste. Incontrare un uomo sopravvvissuto all’orrore non è facile, le parole giuste non si possono trovare. Alcune le ho sbagliate, altre le ho cercate invano, in questa intervista in cui Sami Modiano ha ricordato, ha ripercorso il tragico percorso fino alla fabbrica della morte e poi i lunghi mesi trascorsi indossando soltanto un pigiama a righe e zoccoli di legno nel freddo inverno tedesco. Eppure, in totali privazioni, in una devastante dimensione disumana, un ragazzo di quattordici anni è riuscito ad uscirne ancora vivo. I tanti fantasmi e le ferite racchiuse nell’anima appaiono evidenti quando mostra l’impronta indelebile sulla pelle dell’avambraccio: il tatuaggio con i numeri. Quel codice nero impresso nella carne è l’inizio di un racconto lucido e agghiacciante.
Sami Modiano nel 1938 era solo un bambino, quando l’insegnante l’ha chiamato alla cattedra dicendole: “Samuel da domani non potrai più venire a scuola, anzi da oggi”.
Devo raccontarvi la premessa di questo episodio. Sono nato nella bellissima isola di Rodi nel mar Egeo. Ero un bambino felice perché crescevo in una famiglia bellissima che mi educava nel rispetto degli altri. Ho dei ricordi bellissimi perché crescevo nella mia grande famiglia che era la comunità ebraica. A Rodi c’erano anche le comunità ortodossa e cattolica e si viveva in armonia. Non sentivo nessuna differenza tra l’uno e l’atro, ero un bambino felice e poi è venuto il momento di andare a scuola, insieme a mia sorella Lucia, più grande di me di tre anni, ci impegnavamo per avere una buona pagella. Ero un bambino volenteroso, spronato anche da mia madre e mio padre. Ero benvoluto dagli insegnanti e mi ricordo bene che ero molto ben contento di parlare con loro e di seguirli.
In terza elementare vengo chiamato alla cattedra dal mio insegnante che mi voleva molto bene, mi presentai davanti a lui tutto contento e pensavo che volesse interrogarmi e mi sentivo preparato. Subito mi accorgo dal viso che è preoccupato e dispiacituo e, quasi in silenzio, mi dice sottovoce “Sami Modiano sei espulso dalla scuola”. A un bambino di otto anni cade il cielo in testa, piango e con i singhiozzi e con le lacrime agli occhi ho avuto la forza di dire perché cosa ho fatto per essere espulso dalla scuola. Il maestro molto più dispiaciuto di me mi dice non hai fatto niente di male, vai a casa papò di spiegherà il motivo. In quel momento pensavo di aver commesso qualcosa di male. A casa papà cercò di consolarmi, di spiegarmi. Mi ribello, non accetto questa definizione che lui cerca di darmi; ma io ero un bambino e non volevo capire, non potevo accettare di essere diverso dagli altri. Però questo rimane e da quel momento in poi non ho potuto più frequentare una scuola. Non ho potuto far niente, sono stato espulso perché avevo la colpa di essere nato ebreo. E’ questa una colpa? Non lo accetto nemmeno oggi. Ma ai ragazzi io dico state attenti! questo è successo e da quel momento in poi non ho potuto più andare a scuola. Questo è stato il mio primo momento di dolore”.
Come è stato possibile che diritti, verità e convivenze si siano affievolite e quello che era un equilibrio naturale tra le persone si sia interrotto? Come è stato possibile che le altre comunità abbiano potuto accettare?
“Parlo di quello che è toccato a me, i nostri medici, professori sono stati licenziati tutti. Da quel momento in poi non abbiamo potuto avere un telefono, una radio e nessuno ha detto niente. L’indifferenza dispiace perché nessuno ha mosso un dito”.
Lei ripercorre il dolore vivo della sua terribile esperienza insieme a centinaia di studenti ogni anno, perché?
Per dire loro state attenti quando frequentate qualcuno, quando ascoltate certi discorsi. Ci sono dei tranelli, fate funzionare il cervello. Ci sono oggi dei tranelli in cui un ragazzo può cadere senza saperlo. Voglio raccontare una storia che per me importante. Qualche tempo fa sono andato a Birkenau insieme agli studenti e ho conosciuto una ragazza, Arianna, che si è mostrata molto interessata alla Shoah e mi ha chiesto se poteva avere un mio contatto perché avrebbe voluto invitarmi a scuola per parlare con i suoi compagni. Dopo due mesi mi ha chiamato e sono andato in questa scuola. Arianna mi è sembrata preoccupata. Le chiedo perché e lei mi dice che non c’era niente di particolare. Davanti a me c’erano 300 giovani e tutto è andato benissimo. Dopo qualche giorno ho ricevuto una lunga lettera di Arianna che mi ha spiegato perché era preoccupata. Alcuni suoi compagni di scuola, sapendo del mio arrivo, si erano divertiti a disegnare svastiche e altre scritte sui muri della scuola. La ragazza temeva che mi avrebbero provocato e invece hanno seguito tutta la mia testimonianza in silenzio e alcuni con le lacrime agli occhi. Il giorno dopo hanno preso della vernice e loro stessi hanno cancellato le scritte sui muri che avevano fatto. Questi ragazzi erano caduti in chissà quale tranello poi hanno sentito un sopravvissuto e hanno capito. Questo fa parte della mia testimonianza, della mia missione”.
Lei ha vissuto la storia più disumana che la Storia ci abbia dato e leggendo altre testimonianze, uno degli aspetti più terribili sembra essere quello di essersi sentiti vittime e nello stesso tempo strumento nei campi della morte.
Difatti molti sentendosi ingranaggi di questa macchina si suicidavano, se questa fabbrica della morte sta funzionando e a causa della manodopera, della nostra manodopera che loro ci obbligavano a dare e difatti alla liberazione non è stato facile per un sopravvissuto. Quando ti senti che sei uscito vivo daa quell’inferno ti senti male. Perché io? Perché sono sopravvissuto? questi perché ti torrmentano tutta la vita, questi punti interrogativi non ti lasciano tranquillo, un tormento che difficilmente potrete capire, mi sento in colpa.
Lei ha avuto il coraggio di rivivere quei fantasmi e portarli nel presente
Mi sono giurato di farlo, ho capito che se io sono sopravvissuto è perché sono stato scelto, potevo morire come tutti quanti, ho delle immagini davanti ai miei occhi perché non sono morto? ci sono gesti impossibili e sono uscito vivo. Questo mi fa capire che qualcuno ha voluto che facessi in modo di essere qui. Io non volevo accompagnare i ragazzi a Birkenau, credevo che i ragazzi nnon mi avrebbero creduto. Primo Levi è stato uno di quelli che mi ha stimolato di più. Anche io devo fare qualcosa, grazie a Dio sono un uomo molto più felice, sono stanco, soffro, ma non mi importa lo continuerò a fare perché ne vale la pena. Sono due parole: mai più. Questo è il mio pensiero.
Cosa prova quando incontra i ragazzi?
Farò un secondo libro con e lettere che ricevo dai ragazzi mi fanno piangere perché c’è un riscontro molto forte e anche dai familiari che mi dicono signor Modiano grazie mio figlio è cambiato questi gesti mi fanno capire che c ‘è qualcuno che mi guida e fin quando avrò la dforza di farlo non mi fermerò. Anche se è doloroso, ma i ragazzi lo apprezzano, e capiscono.
Lei ha perdonato quello che è successo?
Perdono è una parola grossa, io non posso giudicare e condannare, però quelo che dico è che quelli che hanno commesso questi crimini non li perdono e non me l’hanno nemmeno chiesto. Riflettendoci bene quelli che hanno commesso questi crimini non li perdono, perché hanno commesso delle cose orrende non puoi ammazzare un bambino, un innocente come fai? Questo è un peccato mortale. Vado nelle scuole tedesche e per me sono ragazi come tutti gli altri anche loro si sentono in difficoltà, vado loro incontro e li abbraccio, voglio far capire che non hanno nessuna colpa, ma mi rispondono: sì, ma però… Si portano appresso ancora questa colpa e a me dispiace, sono ragazzi ma sentono più loro questa colpa che le generazioni che l’hanno preceduta. Mi ha parlato di perdono, devo essere franco? a chi devo perdonare? hanno fatto un processo a Norimberga ne hanno presi 30 o 40 di questi criminali. E gli altri? tra cui Mengele che con un dito poteva ucciderti? non sono andati da soli in Sudamerica. Perché? il mondo sapeva dove erano. Israele ha fatto un gesto dimostrativo, ne ha preso uno solo ma è stato un gesto. Lo potevano fare anche altri paesi non l’hanno fatto, ma come sono andati là? chi li ha aiutati? subito dopo la guerra sono sbarcati in America del Sud. A chi devo perdonare? Ai nazisti o anche a quelli che hanno aiutato questi criminali senza processarli con testimoni?