Lettera dal mondo sommerso
di Paola Lombardi
“Vivo a testa in giù. Vivo senza respirare. Vivo pensando alle parole che nessuno mi ha mai detto. C’è una parola mancante nella mia vita. C’è una parola che non mi appartiene”.
Ester guarda il tavolo nudo e spoglio. Osserva le tende bianche di lino. Sposta l’attenzione oltre la soglia della finestra. C’è la strada di sampietrini, c’è la pioggia di ottobre, ombrelli colorati sospesi a nascondere i volti dei passanti. Ester vorrebbe avere un altro nome. Si sofferma a guardare la strada. Sospende i pensieri, li lega con un fiocco immaginario e sorride. Pensa che se all’improvviso comparisse un arcobaleno nel cielo, potrebbe esprimere un desiderio. Pensa all’arcobaleno, ai colori del prisma e pensa ai desideri che attraversano la strada. Riprende la penna e torna a guardare il foglio. Rilegge le poche frasi che ha scritto e pensa a come proseguire. Vorrebbe andare avanti e scrivere quella parola che le è estranea e sconosciuta e le resta conficcata in gola. Riascolta nella mente una canzone che diceva così ‘conficcate in gola’ e le torna la nostalgia per ciò che non è mai stato.
“Il mio amore morirà con me. Il mio amore resterà ad inaridirsi. Appassirà come i gladioli nel vaso, morirà insieme al mio patrimonio genetico“.
Smette di scrivere. Quella parola non le appartiene e non può nemmeno scriverla sul foglio bianco. Ester sa benissimo cosa le manca. Non può rimproverare nessuno, non può accusare nessuno, nemmeno il destino.
“Vivo in un mondo sommerso, senza legami. Non sono una donna, sono un frammento di libertà pagato a caro prezzo”.
Smette di scrivere ancora, stringe il foglio di carta nel pugno. Lo gualcisce, lo logora. Getta via i pensieri. Cosa le manca, in fondo? Nulla. Una definizione, una parola cosa sono? Non sono niente. Il suo nome è Ester.