Le promesse della periferia
di Laura De Santis
Il rivestimento di legno delle pareti, il bancone fatto ad angolo di alluminio, le bottiglie allineate e quasi sempre vuote di fronte all’ingresso e poi quell’odore impregnato di storie che vogliono essere raccontate. Ovunque, a qualsiasi latitudine, c’è un bar fuori moda e fuori tempo, un bar che disseta le periferie della storia e della società, un bar che diventa il ritrovo di mondi destinati ad incontrarsi comunque.
Sul marciapiede addossato alla vetrina del locale c’è sempre un tavolo poggiato per sbaglio e qualche sedia per gli avventori speciali, quelli che certamente qualunque cosa possa accadere nelle loro vite non mancheranno mai all’appuntamento con il loro bar. È come un richiamo e per alcuni è come avere una casa oppure avere uno scopo. E su quel tavolo all’esterno con la pioggia o con il sole si accumulano bottiglie di birra, eroica testimonianza di una resistenza fisica alla cirrosi epatica.
Gli ospiti fissi di questi bar resistono anche alle malattie professionali ma non resistono alla voglia di cimentarsi con imprese impossibili. È qui che si trovano attrazioni misconosciute come l’avventore quasi muto che tutti i giorni arriva sempre alla stessa ora, entra nel bar e al barista paziente chiede una birra e un bicchiere da liquore. Come quelli di una volta che sembrano ditali rovesciati sostenuti da fragili steli di vetro.
Con entrambe le mani occupate esce fuori e si accomoda al suo tavolo con uno sguardo sospettoso e inizia la sua sfida. Con le mani tremanti tenta di versare il contenuto della bottiglia nel bicchierino cercando di non spargere la birra sul tavolo. I tentativi si susseguono vanamente per le sue mani tremanti e alla fine beve direttamente dal collo della bottiglia e come a malincuore, a mezza voce, si guarda intorno e dice: “Eh ma domani…” si alza e se ne va. E sono queste le promesse che alimentano quei bar della periferia della storia e del mondo.