La Liberazione

monumento milite ignoto
monumento milite ignoto
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Ho iniziato da ragazzo. Ho lavorato come un mulo, più di un mulo. Ho  zappato, vangato, arato. Ho rivoltato con le sole mani grossi massi fino a spaccarmi la schiena. E intanto sono cresciuto forte, talmente forte che mi hanno posto all’avanguardia del prestigioso Battaglione San Marco allo scoppio della seconda guerra mondiale. Sono stato arruolato una settimana dopo il mio matrimonio, non ho potuto dire di no.

All’epoca non si faceva la luna di miele, tutt’al più qualcuno più fortunato faceva solo il miele. Per un attimo mi sono inorgoglito, ho creduto di potermi riscattare attraverso la divisa. Ma poi ho capito che nessuno può riscattarsi con il sangue di un fratello. Ci hanno aperto le porte ovunque siamo passati, abbiamo intascato elogi in ogni dove. Ho sparato, non so se, chi e quanti, ne abbia ucciso. Eravamo giovani e forti, ci temevano. Poi ci hanno imbarcati su una nave mentre in Italia e nel resto del mondo la guerra si evolveva alla sua maniera. Ho saputo dopo che avevamo due Italie, la nuova guidata dai partigiani che appoggiava gli alleati e la vecchia
che continuava la sua guerra con i fascisti al fianco dei tedeschi. Ma noi italiani siamo fatti così, viviamo spesso con due piedi in una scarpa.

Abbiamo combattuto strenuamente, a noi non hanno detto niente di ciò che accadeva e nemmeno so dire da che parte sarei stato se avessi saputo. So soltanto che mi hanno arruolato per la mia forza e la mia lealtà. Io e i miei compagni siamo stati gli ultimi ad arrenderci, a Biserta, in Africa. Mi hanno colpito alla testa con una spranga di ferro.

Mi hanno creduto morto, ma ero solo svenuto. Poi mi hanno portato in un campo di prigionia in America dove mi hanno fatto lavorare e mi hanno pure pagato. In verità i soldi che ho preso dagli americani non li ho mai visti a casa mia. Poi sono tornato e ho ricominciato a fare l’unica cosa che sapevo fare: spaccarmi la schiena come un mulo. Ho avuto da fare, terra, figli e nipoti. Spesso mi ritornano in mente le immagini di una guerra che non auguro a nessuno, ma la mia angoscia più grande è il non sapere se sono un eroe o un traditore. Ora, però, non mi importa più, sono vecchio e stanco. Sento il fiato sul collo del mio tempo che finisce.

E mentre oggi tutti festeggiano ciò che non conoscono, io procedo spedito sul viale del tramonto. Sarà quello il giorno della mia liberazione.

Bruno Di Placido

Volontario della V.d.s Protezione Civile di Cassino, impegnato in vari aspetti del sociale, lettore e, da qualche anno, anche scrittore con un’ambizione dichiarata: riuscire a fondere ragioneria di cui vive e prosa con la quale sogna.

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